giovedì 13 agosto 2009

DI RITORNO DALL'ABRUZZO


ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL'ESPERIENZA DEI COMPAGNI DI RIFONDAZIONE COMUNISTA DI CUNEO IN ABRUZZO
di Gabriele Curti, Giovani Comunisti Cuneo





Tempera è uno dei comuni più colpiti dal sisma del 6 Aprile, e da tutti i successivi, fino ad oggi con il paese martoriato nelle abitazioni e con sette vittime. I riflettori non sono arrivati su questo piccolo paese, lontano solo 7 km dall'Aquila, a differenza della stessa l'Aquila e Onna.

I Compagni dei circoli abruzzesi di Rifondazione Comunista si sono subito mossi all'alba del terremoto, prima con l'acquisto di beni di prima necessità da distribuire alla popolazione sfollata, in seguito con la formazione delle Brigate di Solidarietà Attiva, per riunire tutti i Volontari sia abruzzesi che da tutta Italia, che si sono impegnati nella gestione dei campi delle tendopoli, uno a Camarda, l'altro a Tempera ai piedi del Gran Sasso, con l'obiettivo dell'auto-gestione del campo da parte delle popolazioni sfollate (passaggio già effettuato al campo di Camarda). Le Brigate sono nate dal Partito Sociale, progetto di Rifondazione con il fine di riorganizzarsi tra cittadini e consumatori per far fronte alla speculazione e dal carovita, dove chi ci rimette per prima sono le persone comuni, i consumatori (lavoratori, pensionati, studenti, coppie di fatto, famiglie); il mezzo invece è espresso tramite iniziative come il GAP (Gruppi d'Acquisto Popolare) e le Brigate di Solidarietà Attiva appunto.

Da tutta Italia sono partite adesioni di disponibilità al volontariato, soldi, viveri, vestiti, giocattoli, prodotti per la pulizia e l'igiene. Anche da Cuneo i Compagni si sono mossi per raccolte libere di acquisti da parte dei cittadini cuneesi, da portare personalmente ai campi di Tempera e Camarda, oltre ad offrire la propria disponibilità al lavoro.

La necessità dei primi giorni era il cibo, i vestiari, etc ma non troppi volontari, invece a quattro mesi dall'emergenza il ricambio si fa più frequente per dar la possibilità a tutti di dare una mano e di dare il cambio a chi era attivo dai primi giorni.

Sette sono i Compagni che sono partiti da Cuneo la mattina di lunedì 3 Agosto, dopo 7-8 ore di viaggio l'arrivo al campo San Biagio di Tempera. Dopo la registrazione dei nominativi alla Protezione Civile e muniti delle pettorine di riconoscimento dei volontari, si inizia da subito con la distribuzione di cibo alla mensa. Dopo si preparano i turni dei volontari della settimana: colazione dalle 5e30 alle 9 del mattino, pulizia servizi igienici, smistamento dei prodotti, distribuzione dei vestiti allo Spaccio Popolare del campo, servizio mensa a pranzo, pulizia della cucina e una seconda dei servizi igienici, raccolta differenziata e ecologia (pulizia del campo da sigarette e cartacce sul terreno del campo), in seguito servizio mensa per la cena e pulizia della cucina. Inoltre molte altre attività, come il mantenimento del parco giochi per i bambini, cineforum la sera per lo svago della popolazione e dei volontari, concerti, biblioteca, punto-internet, etc.

L'ambiente è familiare e informale, oltre che basato su una forma di auto-organizzazione e solidarietà. Da questo Rifondazione si vuole distinguere dai campi della Protezione Civile, dove l'organizzazione è gerarchica e militare (nulla togliere all'impegno dei volontari della Protezione e dal loro tempismo militaresco in casi di emergenze), ma la base popolare e il fine auto-gestionale ci distingue dagli altri campi, rispecchiando gli ideali comunisti e di socialismo che i volontari si sentono propri o simpatizzano. Questo però non compromette il campo e la sua popolazione. Nessuno viene selezionato né “indrottinato” politicamente. Ogni cittadino sfollato è libero nella sua idea ed opinione e i volontari non impongono nessun dogma né politica. Il nostro ideale pratico (e teorico) è proprio quello di concretizzare i bisogni di tutti (sia che sian politicamente di destra, sia che sian di sinistra) tramite la Solidarietà Attiva (e quindi non la carità cattolica, ma la partecipazione attiva alla vita sociale).

Naturalmente abbiamo avuto l'occasione di ricevere tre dei ministri più simpatici e “vicini” alla popolazione (soprattutto politicamente e geograficamente): Bossi, Calderoli e Castelli, al campo di Camarda, o per meglio dire davanti al campo, perché i nostri Ministrelli sono andati a visitare una casa (che i giornali hanno presentato come: 'visita alla ricostruzione' quando essa è stata comprata e ricostruita da un privato con i propri soldi). Forte era la tentazione, pacifica, di chiedere loro il perché della loro presenza solamente istituzionale, quando: con il federalismo si tagliano i fondi al centro-sud, il finanziamento alla ricostruzione è stato affidato al Gratta e Vinci in seguito alla spesa di più di 400 milioni di Euro per la costruzione in tempo record dei palazzi sede del G8 2009 all'Aquila. Inoltre perchè vengono i ministri leghisti che del centro-sud non interessa nulla al dì fuori della “Padania”? Ma nelle Brigate vi è la norma comune, votata a maggioranza in assemblea tra volontari, di non compromettere il futuro della popolazione dei campi, che sian d'accordo o no. Come d'altrocanto è stato fatto in tema del G8, dove le Brigate hanno continuato il loro lavoro nel campo, invece di manifestare al corteo. La miglior protesta era continuare a lavorare socialmente con le persone che ne avevano bisogno, mentre gli 8 più grandi spendevano i nostri milioni e facevano propri i mezzi di comunicazione.

La situazione odierna nei paesi sfollati è che è stata superata l'emergenza, i cibi arrivati nei primi mesi continuano ad essere consumati; il problema maggiore è dove andranno gli sfollati quando si metterà in atto la decisione del governo di chiudere i campi delle tendopoli? la scadenza è il 15 Settembre. Si sa che sia il tempo (a differenza della costruzione della sede g8), sia i soldi (rimanenti), sia lo spazio geografico non basterà per dare la certezza diffusa dal governo per dare una casa a chi non l'ha più (e magari ha perso dei propri cari). “Grande idea” è lo spostare la popolazione, che rimarrà fuori dall'assegnazione delle case che si completeranno, in alberghi, anche al dì fuori dell'Abruzzo, quindi una “vacanza” forzata lontano dal proprio paese per chissà quanto mesi (ricordiamo che ancora molti sfollati di Assisi, ad esempio, vive in container!).

Molta era la sfiducia degli sfollati nel periodo subito dopo l'emergenza (tra l'altro censurate le proteste, ma filtrati soltanto i ringraziamenti al governo) che, ahimè, si sta avverando.

Inoltre altri problemi si accumulano, come l'assegnazione tramite graduatoria alla popolazione, creando così sfollati di serie A e sfollati di serie B, con una conseguente guerra tra poveri (tra famiglie, tra etnie, etc), provvedimento votato a larga maggioranza, tranne il consigliere di Rifondazione che si è opposto.

Tutto il lavoro fatto e tutto il lavoro da fare comunque non può sostituire lo Stato che DEVE ridare una certezza, una vita, una dignità a chi si ritrova senza una casa, senza un lavoro e senza l'affetto delle persone mancate nel crollo durante il terremoto.

La collaborazione con il campo dai volontari cuneesi è durata una settimana (come all'incirca avviene il ricambio), fino alla domenica dopo, 9 Agosto, soddisfatti dell'aiuto fornito e dell'esperienza di forte impatto emotivo, ma con nel cuore un senso di amarezza dato dal fatto che noi possiamo tornare a casa a riposarci, ma gli altri Volontari? Tutti gli sfollati? Questi la casa non ce l'hanno più..e chissà quando potranno riaverla..



mercoledì 12 agosto 2009

LA LOTTA PAGA!

Milano, Italia: Innse, trovato l'accordo gli operai scendono dalla gru.
Innse, trovato l'accordo operai scendono dalla gru
Accordo nella notte, la Innse è salva e gli operai scendono dopo otto giorni dal carroponte. E' una grande vittoria e mi auguro che, nell'autunno caldo che si annuncia, con migliaia di licenziamenti, si allarghi la lotta: l'effetto emulazione c'è già stato.

L'azienda meccanica di via Rubattino passa, dopo un'estenuante trattativa che si è chiusa pochi minuti dopo la mezzanotte, al gruppo bresciano Camozzi. E' il risultato della battaglia degli operai, che per quattordici mesi hanno presidiato la fabbrica in crisi, impedendone lo smantellamento, e negli ultimi otto giorni hanno inscenato una protesta spettacolare, salendo su un carroponte all'interno dello stabilimento e rifiutando di scendere fino a che non si fosse trovata una soluzione.

Ora, finalmente, la soluzione c'è. Il vecchio proprietario, Silvano Genta, ha tentato fino all'ultimo di portare a casa più soldi possibili, ma ha dovuto cedere di fronte all'ultimatum di Camozzi che aveva fissato per la mezzanotte il termine ultimo per concludere il negoziato. Che ha vissuto però, nel corso della giornata, momenti di grande tensione: a un certo punto della serata, tra offerta e richiesta c'erano ancora 3 milioni di differenza. Alla fine l'accordo è arrivato, prima con la Aedes, proprietaria dei terreni su cui sorgono i capannoni (e che concederà ai nuovi proprietari un'area più ampia per la movimentazione delle merci), poi anche con Genta: il prezzo concordato è di 4 milioni. E' stato allora che i rappresentanti della Fiom, guidati da Gianni Rinaldini, Giorgio Cremaschi e Maria Sciancati, reduci dalla Prefettura, si sono consultati con i cinque sulla gru e con gli altri dipendenti per redigere una piattaforma sindacale da sottoporre alla nuova proprietà. E anche su questa piattaforma, che prevede la riassunzione dei 49 operai, è stato finalmente raggiunto l'accordo.
Questi operai hanno dimostrato che la lotta paga, che si può fare, ora c'è un precedente, un esempio importante per tutte le lavoratrici ed i lavoratori delle tante, troppe fabbriche in crisi.
Agli operai della INNSE il grazie di tutti coloro che ancora lottano per un paese migliore.
Fabio Panero

venerdì 7 agosto 2009

CONTRO LA GUERRA IN AFGHANISTAN


Per il ritiro immediato e contro le spese militari.

Ma anche per rilanciare una lotta unitaria sulle questioni sociali

CONTRO LA GUERRA AFGHANA COSTRUIAMO

UNA GRANDE MANIFESTAZIONE D’AUTUNNO *

*da “Liberazione” di domenica 2 agosto 2009



di Mariella Cao *

Emilio Franzina **

Fosco Giannini ***

Jacopo Venier ****

Una guerra che molti vorrebbero dimenticare è tornata a bussare alla
nostra porta.
La morte del caporal maggiore Alessandro Di Lisio e il ferimento ,
negli ultimi giorni, di altri militari italiani è parte di una catena
scientemente rimossa di assassinii di Stato che ha nella morte
dell’ altro caporal maggiore Giovanni Bruno, 3 ottobre 2004, il suo
primo, tragico, anello e che porta ormai a 14 le vittime del contingente
italiano.
Purtroppo solo questi tragici eventi hanno riacceso i riflettori dei nostri
media e così si è potuto finalmente saper qualche cosa di più
su quanto accade sul fronte afgano.
Scopriamo così che il ruolo ambiguo che gli USA di Obama stanno
giocando in Honduras , in Iran e – in modo più palese – in Afghanistan , con una svolta affatto
pacifista, indica l’estrema difficoltà, legata agli oggettivi
interessi in gioco, di produrre, dietro alla propaganda, una vera
discontinuità rispetto all’amministrazione Bush.
I militari italiani si muovono e combattono, infatti, in un quadro in
cui proprio in queste ultime settimane gli USA hanno preparato ed
eseguito il più grande attacco dei marines dai tempi del Vietnam. Non
si può definire altrimenti, infatti, l’attuale strategia del Khanjar (
il “colpo di spada”) che vede 4 mila nuovi soldati americani ( che si
aggiungono agli altri 30 mila della pur breve era Obama e che portano
l’intero contingente Usa a circa 70 mila effettivi), trasportati da 50
aerei ed elicotteri da guerra USA, di attaccare improvvisamente la
strategica valle dell’Helmand, nel sud dell’Afghanistan.
La guerra imperialista si è dunque totalmente riaccesa. L’Italia, con
i suoi morti e i suoi feriti ( destinati purtroppo a crescere sotto
l’offensiva sempre più vasta ed organizzata dei talebani) e con
l’immenso spostamento di fondi sia verso il riarmo, sia verso il
rafforzamento degli impegni sui fronti di guerra che verso
l’ampliamento delle basi USA e NATO nel nostro paese, ne è totalmente
coinvolta.
Riemerge ora, in tutta la sua verità, la denuncia contro la guerra
afghana che già dal 2001 ha portato avanti il movimento italiano
contro la guerra. Esso – emarginato, inascoltato e in rotta di
collisione con le politiche governative fino allo scontro avvenuto con
il Governo Prodi – affermava che la guerra USA in Afghanistan non era
affatto la risposta all’attacco alle Torri Gemelle. Era ben altro.
Attraverso l’obiettivo dichiarato di catturare Bin Laden, Bush
scatenava la vera guerra: quella per il controllo mondiale del
petrolio e delle fonti primarie di energia.

Gli esponenti del movimento contro la guerra hanno sempre ricordato e
reso noto l’intervento – svolto in un’audizione al sottocomitato per
l’Asia e il Pacifico della Camera dei rappresentanti USA nel febbraio
1988 - del vicepresidente della “Unocal Corporation”; in
quell’audizione il vicepresidente affermava che "la regione del
Caspio contiene enormi riserve di idrocarburi intatte. Solo per dare
un'idea delle proporzioni, le riserve di gas naturale accertate
equivalgono a oltre 236 mila miliardi di piedi cubici. Le riserve
petrolifere totali della regione potrebbero ammontare a oltre 60
miliardi di barili di petrolio. Alcune stime arrivano fino a 200
miliardi di barili. Nel 1995 la regione produceva solo 870.000 barili
al giorno. Entro il 2010 le compagnie occidentali potrebbero aumentare
la produzione fino a circa 4,5 milioni di barili al giorno, un aumento
di oltre il 500% in soli 15 anni. Se questo dovesse accadere, la
regione rappresenterebbe circa il 5% della produzione totale di
petrolio al mondo. C'è tuttavia un grosso problema da risolvere: come
portare le vaste risorse energetiche della regione ai mercati che ne
hanno bisogno ''; e soprattutto – continuava l’esponente della “Unocal
Corporation” - come gli USA possono controllare la distribuzione del
greggio e del gas della regione, in particolare verso le economie
emergenti dell'Asia che ne faranno sempre più richiesta.
Scartata l'ipotesi di costruire oleodotti e gasdotti che possano
attraversare la Cina (troppo lunghi e costosi e soprattutto non
controllabili, appunto perché cinesi) conviene – chiudeva il
vicepresidente della “UC” - passare per l' Afghanistan.

Questo era e rimane il senso ultimo della guerra. Assieme ad un altro
“senso”, strategicamente decisivo per gli Usa : allargare la NATO sino
ai confini russi e cinesi, costruire basi NATO e USA anche all’interno
dell’Afghanistan. Come è accaduto.

Nella fase del governo Prodi, il movimento ( con alla testa Alex
Zanotelli, Gino Strada, le aree più avanzate del movimento operaio e
sindacale – confederale e di base - , le donne, gli uomini, le
ragazze e i ragazzi dello “spirito di Genova”) non venne ascoltato.

Questo errore drammatico non solo ha prodotto una grave ed ancora
aperta ferita tra movimenti , partiti comunisti e sinistra, ma ha
avuto anche come conseguenza la “militarizzazione” della politica
estera, lo sdoganamento della guerra come strumento delle relazioni
internazionali, il dilagare del bellicismo e l’esplodere delle spese
militari.

Di fronte all’escalation di una guerra, che gli stessi generali ormai
ammettono non avere nulla a che fare con la lotta contro il
terrorismo, occorre tornare tutti in piazza.

Il movimento deve svolgere il suo ruolo sociale centrale contro le
politiche di guerra e la subordinazione del governo italiano agli Usa
e alla NATO; per ridare vita, speranza e senso alle forze comuniste e
all’intera sinistra anticapitalista e d’alternativa. Per costruire le
basi reali di una vittoria “ strategica ” ( non si vince “solo”
battendo la destra : è questa la lezione che viene dal fallimento del
governo Prodi), contro il governo Berlusconi e il berlusconismo
diffuso, trasformando le spese folli per gli F- 35 in assegni sociali
per i lavoratori; spostando le risorse verso la decontaminazione delle
aree di Aviano, Sigonella e soprattutto sarde, ridotte dalle basi USA
e NATO a terre nuclearizzate a forte rischio di tumori e leucemie.

Chi scrive lancia - dunque - una proposta : che la Federazione
comunista e di sinistra che si è costituita lo scorso 18 luglio a Roma
( assieme all’intero movimento pacifista, alle esperienze di lotta
contro le basi americane e NATO in Sardegna, a Camp Derby, a Vicenza;
assieme alle parti più avanzate della CGIL e della FIOM; ai sindacati
di base e ad ogni altra soggettività comunista, antimperialista,
anticapitalista e di movimento) si metta sin da ora al lavoro per
organizzare a settembre/ottobre ( intrecciando le più vaste relazioni
e seminando spirito unitario) una grande manifestazione a Roma contro
la guerra, contro le spese militari e per il ritiro immediato dei
soldati italiani dall’Afghanistan, unendo la lotta contro le politiche
interventiste e di guerra alle sempre più gravi questioni sociali: il
salario, la scala mobile, la Legge 30, le pensioni, il razzismo, lo
stato sociale.

Un “nuovo inizio” non può che cominciare dalla ripresa dell’iniziativa
politica e sociale contro la guerra.

* Comitato sardo “ Gettiamo le Basi”);

** docente di storia contemporanea

Università di Verona- Gruppo consiliare

provinciale di Vicenza,“ Vicenza libera”:

*** direzione nazionale Prc;

**** segreteria nazionale PdCI.


lunedì 3 agosto 2009

BUON LAVORO COMPAGNI!


MILITANTI CUNEESI DI RIFONDAZIONE COMUNISTA DA OGGI IN ABRUZZO.
Questa mattina sono giunti al campo S.Biagio di Tempera in Abruzzo per dar man forte alla Brigata di Solidarietà attiva di Rifondazione Comunista sette militanti di Rifondazione Comunista di Cuneo.
Del gruppo cuneese fanno parte anche Nello Fierro, coordinatore provinciale dei Giovani Comunisti e Antonio Cacchio, reponsabile del Circolo PRC di Cuneo del Partito Sociale.
Per mettersi in contatto con i volontari cuneesi: Nello Fierro 3280962581

INTERVISTA A PAOLO FERRERO


Rilanciare la rifondazione comunista per costruire la sinistra di alternativa



di Dino Greco, Cosimo Rossi

su Liberazione del 02/08/2009

Intervista a Paolo Ferrero,

Segretario nazionale del PRC

«Proprio perché la distruzione della democrazia marcia nella società, non basta mettere in minoranza Berlusconi in parlamento». Per Paolo Ferrero, infatti,il berlusconismo è un prodotto del bipolarismo, che provoca la passivizzazione e induce a derubricare le questioni sociali, favorendo così la crescita di consenso per la destra e il distacco dalla politica. Per questo il segretario di Rifondazione ritiene che il terreno di contrasto della destra populista berlusconiana sia innanzitutto quello sociale, proponendo nel contempo alle forze di opposizione «un accordo di garanzia costituzionale che produca una nuova legge proporzionale».
Quello che invece per Ferrero non può essere rimesso all'ordine del giorno è un accordo di governo col Pd. Non per pregiudizio, ma perché i rapporti di forza in questo momento non lo permettono, in quanto «il bipolarismo produce il cortocircuito in cui per difendere la democrazia devi fare alleanze e sommare i tuoi voti con chi fa politiche sociali che aumentano il consenso delle destre». Anche per questo occorre «provare a ricostruire la sinistra a partire dalla presa d'atto degli errori fatti, dalla ricostruzione del conflitto sociale, dalla costruzione di un immaginario che si sappia contrapporre a quello dominante». Ed elaborare «il rapporto con la propria storia». Dunque attraverso il fatto che il Prc «rimane per l'oggi e per il domani» e attraverso la costruzione di «una Federazione che abbia come caratteristica la centralità del progetto politico».

Luigi Ferrajoli sostiene (nell'intervista a Liberazione pubblicata venerdì 31 luglio) che oggi non ci si trovi davanti alla prospettiva di un'alternativa di sinistra, ma piuttosto ad un'emergenza democratica dovuta al carattere populista della destra berlusconiana, che annienta la rappresentanza e devasta il tessuto sociale. Perciò ritiene che occorra una logica da Cln, rimproverando per questo l'indisponibilità di Rifondazione ad allearsi col Pd. Come rispondi a questa critica che è la più diffusa a sinistra?

E' assolutamente vero che c'è un attacco alla democrazia da parte di Berlusconi e che ha sostanzialmente i contorni che descrive Ferrajoli. Il problema è capire come si può contrastarlo efficacemente. Vorrei infatti subito sgombrare dal campo un problema: il nodo non è tra chi pensa sia oggi possibile mettere a tema l'alternativa e se ne frega se nel frattempo in Italia i fascisti spadroneggiano e chi si pone invece responsabilmente il tema della sconfitta di Berlusconi e del berlusconismo. La discussione non è tra chi pensa di poter saltare dieci gradini tutti insieme e chi responsabilmente si pone l'obiettivo di salire un gradino per volta. Siamo tutti d'accordo che occorre battere Berlusconi e il berlusconismo. Il punto è che la strada individuata da Ferrajoli a mio parere è sbagliata e completamente inefficace.


Perché sbagliata?

In primo luogo è sbagliato il parallelo storico. Oggi non ci troviamo in una situazione simile alla fine di un regime che ha perso la guerra, che ha perso il consenso della popolazione e che si trova contro un arco di forze che va da quelle stesse che ne hanno sostenuto l'ascesa, dai i monarchici ai comunisti. Oggi Berlusconi ha un largo consenso nel Paese, ha vinto le elezioni un anno fa dopo i due anni del governo Prodi, ha vinto le elezioni amministrative e la destra non ha certo perso le europee. Nulla a che vedere con il '43 '44. Siamo piuttosto in una situazione simile agli anni Venti, una specie di repubblica di Weimar al rallentatore, in cui la disgregazione sociale, la crisi delle identità sociali, politiche e culturali, non trovando uno sbocco a sinistra ha determinato la vittoria del nazismo. Vorrei ricordare che Hitler vince le elezioni del 1933 proprio contro uno schieramento che va dalla destra prussiana di von Hindemburg ai comunisti della Kpd.
In primo luogo occorre quindi abbandonare il parallelo storico del Cln, perché oggi non si tratta di abbattere un regime che sta perdendo la guerra e ha smarrito il consenso, ma di sconfiggere una destra che ha un largo consenso nel Paese e che raccoglie adesioni maggioritarie tra gli strati popolari e operai.


E in secondo luogo?

In secondo luogo Ferrajoli sbaglia perché traduce la necessità di sconfiggere Berlusconi rimanendo integralmente all'interno del regime bipolare, quando invece è stato proprio questo recinto a permettere la nascita, lo sviluppo e il rafforzamento di Berlusconi e del berlusconismo. Senza il bipolarismo e la legge elettorale maggioritaria Berlusconi, che non ha la maggioranza dei consensi nel Paese, non avrebbe la maggioranza assoluta in parlamento. E' proprio il meccanismo dell'alternanza che sino ad oggi ha rafforzato Berlusconi: dopo ogni esperienza di governo di centro sinistra Berlusconi ha vinto le elezioni e ogni volta ha trasformato il Paese a sua immagine e somiglianza spostandolo più a destra e ponendo le basi per uno sbocco di regime.


Quindi come si interviene?

Bisogna aver chiaro che sconfiggere Berlusconi e il berlusconismo è un' operazione politica complessa, che non basta chiedere alla sinistra di baciare il rospo. Occorre avere un progetto politico chiaro che a mio parere si muove principalmente su tre terreni. In primo luogo la questione sociale. Ci sono strati sempre più larghi della popolazione che non vedono affrontati dalla politica i propri problemi, in cui cresce l'indifferenza rispetto alla democrazia e che si sentono più tutelati da questa destra. Il primo punto per sconfiggere Berlusconi è la ricostruzione sistematica e certosina di un efficace conflitto sociale, a partire dal quello di classe, per evitare che il disagio sociale si trasformi in disperazione e in guerra tra i poveri. Ci sono interi strati sociali che si rivolgono a destra, oppure all'astensione, se non si riesce a rispondere alle loro istanze sociali. E questo non lo si fa sul terreno delle regole, ma su quello degli interventi sociali, dell'efficacia del conflitto. Affrontare la questione sociale non è un lusso da subordinare alla questione democratica ma la chiave di volta per poter ridurre seriamente il consenso di cui le destre godono oggi.


A questo proposito si rimprovera spesso a Rifondazione l'atteggiamento verso il governo Prodi, imparagonabile a Berlusconi….

E' evidente che governo il Prodi era meglio di quello Berlusconi. Ma è altrettanto evidente che il governo Prodi ha deluso le aspettative di cambiamento che lo avevano reso possibile, in particolare tra gli strati più deboli del mondo del lavoro. L'aumento dell'astensionismo nel mondo del lavoro è enorme e nel 2008 la maggioranza del lavoro dipendente ha votato a destra; il fatto che oggi i giovani operai siano quelli che vanno più a destra secondo me la dice lunga sulla delusione dell'esperienza del governo Prodi. Perciò penso che ci troviamo in una situazione di guerra di movimento in cui il problema decisivo riguarda la ricostruzione dei legami sociali e del loro nesso con la questione democratica. La forza di Berlusconi non sta solo in parlamento ma nel Paese. La forza della destra è in larga parte dovuta agli errori e all'ingnavia del centrosinistra sul piano sociale. Detto questo il secondo terreno su cui deve muovere la nostra proposta politica è proprio quello istituzionale.


Cioè la questione della legge elettorale?

Il punto è che la necessità di battere Berlusconi non ha nulla a che vedere con l'accettazione del bipolarismo. Il bipolarismo è anzi all'origine del problema. Berlusconi è nato e cresciuto nel bipolarismo. La proposta politica che avanziamo affinché sia possibile non restituire le chiavi in mano a Berlusconi il giorno dopo che il suo governo sia caduto - e noi lavoriamo alla sua caduta il più presto possibile - è quindi quella di fare un accordo di garanzia costituzionale che produca una nuova legge proporzionale. Propongo di fare un accordo delimitato, preciso, tra tutti coloro che ritengono essere Berlusconi un pericolo per la democrazia al fine di andare alle elezioni con un unico schieramento, battere Berlusconi, cambiare la legge elettorale e uscire finalmente da questa disastrosa seconda repubblica bipolare che è la seconda sciocchezza che ha combinato Occhetto dopo aver sciolto il Pci.


Ma non è velleitario proporre un cambiamento del sistema elettorale escludendo un accordo di governo di legislatura?

Non sono velleitario, semplicemente penso che se il problema sta nel manico occorre cambiare il manico. Penso sia possibile un accordo limitato e concreto per cambiare la legge elettorale, non credo sia possibile fare un accordo con l'Udc per governare l'Italia. Su che programma, con che profilo, con quali contenuti? Velleitario è chi pensa di poter combattere la mafia con Totò Cuffaro, non chi propone un accordo assolutamente delimitato. Del resto, la proposta di cambiare la legge elettorale a me non pare così velleitaria: Udc e D'Alema sono per il sistema tedesco, così come Marini. Se il congresso del Pd desse un segnale in questo senso a me non sembrerebbe impossibile percorrere la strada che ho sopra delineato. Perciò io dico: facciamo in modo che Berlusconi, essendo minoranza nella società, diventi minoranza anche nel parlamento. Questo mi pare un modo per rispondere al problema della salvaguardia della democrazia evitando di infilarsi dentro la logica bipolare che è all'origine del problema.


Questo significa escludere a priori la partecipazione al governo?

Io non escludo in linea di principio la partecipazione al governo. Penso si possa fare in un contesto in cui i rapporti di forza ti permettano banalmente di vedere rispettati i patti che fai. Il problema è che il bipolarismo produce un cortocircuito in cui per difendere democrazia devi fare alleanze e sommare i tuoi voti con chi fa politiche sociali che aumentano consenso delle destre.


L'impatto della crisi investe la condizione di milioni di persone, tuttavia non c'è alcuna reazione. Come mai?

Perché a questi aspetti, che rappresentano la forza intrinseca della destra, corrisponde la debolezza della sinistra, sia politica che sindacale. Infatti il comportamento che appare più dirompente non è votare comunista, ma non andare a votare. Da questo punto di vista stiamo raccogliendo i frutti negativi di un ciclo che è stato quello sintetizzabile nella politica dei sacrifici prima e della concertazione poi.


Un ciclo che ha portato l'Italia in pochi anni ad avere le retribuzioni più basse d'Europa e a considerare l'intera condizione dei salari come una variabile dipendente del profitto d'impresa. In questo senso non è ora di sottoporre a una critica complessiva la politica del sindacato?

Di più. Penso che abbiamo avuto una redistribzione dal basso verso l'alto fatta con l'accordo dei sindacati e in piena violazione della democrazia sindacale. Il tutto è stato teorizzato in nome della politica dei redditi. Ma in realtà non si sono mai fatte politiche dei redditi, perché se ne è esistita una questa era la scala mobile. In questo senso la sconfitta nasce negli anni settanta, quando il Pci non fu assolutamente in grado di prospettare un orizzonte nuovo di trasformazione sociale. Qui c'è un elemento che riguarda il sindacato e uno che riguarda la politica.


In che senso?

Dal Craxi di san Valentino, all'attacco a pensioni e sanità di Amato nel '92, alle privatizzazioni dei servizi pubblici fatte dai governi di centrosinistra. Il punto, secondo me, è che c'è stata un'enorme sconfitta sociale che le persone hanno visto essere gestita dal sindacato e nei fatti anche dalla sinistra, perché non c'era più chiarezza su chi stava da una parte e chi dall'altra. A questo si aggiunge poi anche un elemento ideologico, in quanto lo scioglimento del Pci avviene per assunzione integrale dei valori del capitalismo, della competizione, dell'egoismo sociale, del fatto che la libertà si coniuga con la disuguaglianza. Si tratta dunque di un processo che parte dalla sconfitta dei primi anni Ottanta. Rispetto a quella, penso che la novità sia stata il passaggio di Genova, in cui Rifondazione comunista aveva ricostruito una sua credibilità a livello di relazioni sociali. E noi ce la siamo giocata con la partecipazione al governo Prodi. Avevamo fatto i manifesti con scritto "Vuoi vedere che l'Italia cambia davvero", e invece non è cambiato un bel nulla.


A questo proposito però le responsabilità non possono essere taciute per nessun dirigente di Rifondazione: Bertinotti che si trova "ibernato" alla presidenza della Camera e tu che nel governo Prodi eri ministro...

Diciamo che non abbiamo fatto un errore ma due. E gli errori non si può far altro che cercare di riconoscerli per non ripeterli. Il primo è stato la sopravvalutazione dei rapporti di forza: cioè l'idea che saremmo riusciti a condizionare l'attuazione del programma, senza renderci conto che il nostro peso sociale era pressoché nullo e che quindi ci siamo messi quasi subito nella condizione di bere o rompere. Su alcuni punti siamo stati efficaci, penso alle norme sulla sicurezza sul lavoro, ma sulla grandi questioni di politica economica, laddove entravano in ballo Confindustria, Banca centrale e sindacato, noi abbiamo bevuto alla grande. Questo rimanda a una valutazione generale, ed è anche il motivo per cui penso che Ferrajoli sbagli: senza rapporti di forza, non conti abbastanza per determinare alcunché, il massimo di iniziativa politica mette contro di te i poteri forti ma non realizza nulla che consenta di costruire il consenso per contrastare quei poteri.


Quindi le cose non sarebbero potute andare diversamente cercando di governare di più anziché di meno?

E' il secondo errore. Noi abbiamo usato tutta la capacità contrattuale per ottenere posizioni di rilievo istituzionale che non avevano alcuna rilevanza nei processi reali: presidente della Camera e vicepresidente del Senato. Mentre il ministero concordato era una specie di pro loco, che poteva dire ma non fare. Penso che sarebbe stato meglio se avessimo usato il nostro potere per contrattare posti di governo fino in fondo. Ma quegli errori sono il frutto di un rovesciamento del discorso politico. Perché siamo partiti dal dire che lo sbocco politico del movimento era la costruzione del movimento stesso e siamo finiti col dire che era la costruzione delle giunte di centrosinistra.


Bertinotti sostiene che forse proprio a Genova si doveva provare a spingere verso un rinnovamento profondo, che dall'Arcobaleno non si doveva tornare indietro e che ora neanche quello basterebbe più, perché dalla sconfitta delle due sinistre si risale con l'idea di una sola sinistra. Cosa ne pensi?

Mi pare che, se l'errore nell'impostazione dell'Unione è stata la sopravvalutazione delle nostre forze, qui vi sia un eccesso persino ulteriore. Nella logica dell'alternanza il Pd è stato sconfitto ma non dissolto. L'idea di poter piegare il Pd a cambiare il suo sistema di potere per fare qualcosa di sinistra mi pare una pia illusione. Il Pd ragiona di come sdoganare l'Udc, non è diviso tra un impianto di destra e uno di sinistra sul piano sociale e nel rapporto con poteri forti. Quella di Fausto mi pare una rimozione dei dati di realtà. Non fa i conti con la sconfitta della sinistra di alternativa e ipotizza di uscire da quella sconfitta con l'idea che hanno perso tutte e due le sinistre e che quindi ne facciamo una nuova. Invece abbiamo perso noi, la sinistra moderata è in minoranza ma non ha nessuna intenzione di modificare il proprio impianto strategico. Quindi penso che bisognerebbe fare l'esatto opposto di quel che dice Fausto, ovvero provare a ricostruire la sinistra a partire dalla presa d'atto degli errori fatti, dalla ricostruzione del conflitto sociale, dalla ricostruzione di un immaginario che si sappia contrapporre a quello dominante. E da questo punto di vista c'è una questione di relazione con la nostra storia. Bisogna guardare a Gramsci, a come ha indagato la storia italiana per cercare in quella i fili da tirare per porre il tema della trasformazione. Da Occhetto in avanti si fa esattamente l'opposto. Invece nella storia patria, quella della falce e martello, c'è una vicenda che ha una rilevanza decisiva. Pensare di costruire una cosa tutta nuova recidendo storia e radici significa segare il ramo su cui si sta seduti.


Il che rimanda automaticamente alla vessata questione dell'identità comunista…

La teorizzazione dell'assenza dell'identità è in realtà l'assunzione inconsapevole di identità altrui che vengono spacciate come oggettive. Marx ha scritto il Capitale per dire che il sistema di produzione capitalistico non è naturale ma storicamente determinato, mentre tutta l'ideologia capitalistica tende a sostenere che quello che esiste è naturale. Per poter pensare un trascendimento dello stato di cose presenti occorre un' identità per potersi pensare in forma diversa. Questa identità è oggi monolitica o plurale? Io penso sia plurale. E' differenziata per genere, provenienza, condizione, preferenze? Io penso di sì. E' data dall'adesione a dei modelli già presenti? No. Se mi si chiede cos'è il comunismo io non so rispondere meglio che citando Marx: "è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente". In questo senso considero qualificante chiamarci Rifondazione comunista, cioè essere integralmente antistalinisti, considerare lo stalinismo come un prodotto della storia del movimento comunista che nega radicalmente il comunismo stesso. L'elemento della storia è importante anche in quanto noi riconosciamo la possibilità della trasformazione non in modelli realizzati ma nelle lotte per la libertà e la giustizia: io la riconosco nella rivolta di Spartaco, nell'occupazione delle fabbriche nel '20, nella lotta di liberazione, nel '68-‘69, nelle giornate di Genova. Se si vuole dire con Benjamin: «Dai posteri non pretendiamo ringraziamenti per le nostre vittorie, ma la rammemorazione delle nostre sconfitte. Questa è la consolazione: la consolazione che si dà solo per quelli che non hanno più speranza di consolazione». La dissoluzione della nostra storia concide in realtà con il recupero del trasformismo.


Dunque cos'è il comunismo che propone oggi Rifondazione?

Oggi la nostra battaglia è coniugare libertà e uguaglianza dentro la lotta alla mercificazione. Questo è quello che alla fine io chiamo comunismo.


Il tema della natura diventa sempre più centrale. Il capitale è riuscito a realizzare il divorzio tra uomo e natura, allo stesso tempo l'ecologismo viene sempre più inteso come critica complessiva al sistema. Da questo punto di vista una parte del mondo ambientalista sente ancora sorda la sinistra comunista…

Noi ci siamo presentati nei fatti come variante di sinistra della socialdemocrazia, che al fondo non mette in discussione il modo in cui si produce, ma semplicemente la distribuzione della ricchezza. Dobbiamo reinventare un comunismo che rompa con la logica sociademocratica. Il solo modo di coniugare il lavoro con il rispetto della natura è sottoporre a critica la mercificazione dei rapporti sociali e della natura, non solo il prezzo a cui viene venduta la merce. La questione ambientale coincide con il recupero della radicalità del marxismo e della critica dell'economia politica. Oggi, per esempio, la crisi pone il problema centrale della redistribuzione del lavoro. Il capitale polarizza, qualcuno lavora a zero ore e qualcuno a 60. E chiama in causa il rapporto tra uomo, produzione e natura.


Questo significa insomma tornare a proporre il tema del senso sociale della produzione, di chi la organizza, come e perché?

Penso che questo tipo di riflessioni sia centrale. Penso tuttavia che la risposta non sia la decrescita, perché sennò significherebbe che il 2009 con la crisi che l'ha contraddistinto è stato un passo verso il socialismo. Mi pare azzardato. Penso invece che il tema sia la demercificazione.


Non solo uomo-natura, ma anche uomo-donna è una questione su cui la sinistra fatica a corrispondere ai propri propositi. Che ne pensi?

Penso che questo sia un punto fondamentale. Il patriarcato e il dominio maschile presentato come oggettivo è una questione che preesiste al capitalismo e che il capitalismo ha inglobato. Di conseguenza una critica del capitalismo deve tematizzare il superamento del patriarcato, altrimenti è monca. La critica delle compagne è corretta: il tema del superamento non solo del capitalismo ma del patriarcato non corrisponde alla coscienza effettiva del partito a tutti i livelli. E' necessario metterla al centro.


Veniamo allora proprio al partito. Dopo il congresso di Chianciano, la scissione e il risultato in salita delle europee, verso dove va il Prc?

Secondo me dobbiamo provare a fare sul serio quel che abbiamo detto al congresso della svolta in basso a sinistra. In basso per me vuol dire la ripresa della centralità del lavoro sociale, a 360 gradi. Questo implica allo stesso tempo anche un salto in alto sul versante della cultura.


In che senso?

Nel senso della ricostruzione di un immaginario alternativo. La svolta che bisogna cominciare a fare riguarda la relativizzazione del terreno della rappresentanza e la presa d'atto della centralità del lavoro politico di costruzione di conflitto e mutualismo. Ma dall'altra parte riguarda il lavoro nella cultura e la capacità di produrre un'idea diversa di società. E da questo punto di vista la costruzione della Federazione è il tentativo da un lato di produrre una massa critica maggiore, di coinvolgere, di dare risposte credibili.


Trasferendo quella che si potrebbe chiamare ossessione della rappresentanza per liberare le energie del partito?

Per me c'è anche un punto decisivo di sperimentazione di forme diverse dell'agire politico. Significa valorizzare lo stare assieme, provare a invertire le meccaniche subite anche dal Prc, per cui la maggioranza emargina le minoranze. Quella logica ha prodotto unicamente scissioni. Invece occorre cambiare schema. Rifondazione rimane per l'oggi e per il domani, e con una logica unitaria per cui il congresso serve a decidere la linea, non ad emarginare dirigenti. Questo significa lavorare sempre per la gestione unitaria e fare una battaglia politica per la riduzione della frammentazione correntizia. Queste per me sono le precondizioni anche per costruire una federazione che abbia come caratteristiche la centralità del progetto politico.


Porre al centro del processo federativo il progetto politico significa quindi che la sfera identitaria non si pone come discriminante?

Nella federazione ci sono cose che non devono poter essere votate. Io non voglio votare se Salvi si possa o meno chiamare socialista, come non voglio si voti se iopossa o meno definirmi comunista.


E quali saranno le prossime tappe di questo processo?

Intanto dobbiamo costruire la Federazione, che ad oggi ancora non c'è. Dobbiamo elaborare un manifesto politico e delle regole. Poi convocare assemblee territoriali promosse da tutti coloro che sono disponibili. Bisogna che non siano le forze politiche che convocano e gli altri a fare gli ospiti. Bisogna discutere a fondo, costruire un processo partecipato per arrivare a novembre a un'assemblea che indichi un indirizzo politico e una modalità di funzionamento. Con la federazione dobbiamo tentare di rivolgerci non solo a coloro che sono nei partiti, ma a tutti coloro che fanno politica, che hanno partecipato ai social forum, che vivono l'impegno, che non si sono riconosciuti e sono stati delusi dalle esperienze di questi anni. Dobbiamo renderli protagonisti.


Questo rimanda a una questione fondamentale che è quella della democrazia e della partecipazione che a sinistra si è spesso infranta nel primato delle organizzazioni. Come affrontarlo?

Per parte mia penso a una testa un voto. Ma è decisiva la costruzione di processi decisionali che accorcino la catena di comando. Non so dire ora come e non mi piacciono le forme plebiscitarie. La Linke, però, ha fatto il referendum sulla sua partecipazione ai governi regionali. Il problema è che la democrazia diretta è stata coniugata solo con il plebiscitariamo, invece vanno indagate forme di democrazia diretta sui contenuti. Penso che ad esempio uno dei nodi di battaglia politica in Italia è la ricostruzione di una democrazia sindacale, che va di pari passo con la ricostruzione della sinistra.

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