domenica 1 giugno 2008

Tribuna Congressuale - 2

TRIBUNA CONGRESSUALE

Per inviare contributi relativi al VII CONGRESSO NAZIONALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA scrivere a prccuneo@libero.it

UNA SOLA MOZIONE: RIFONDAZIONE!

Scriviamo queste poche note perchè siamo molto amareggiati, per l’esito delle elezioni ma anche per ciò che ne è seguito nella sinistra e nel nostro Partito. Scriviamo queste note perchè vogliamo aprire un dialogo e tenerlo aperto. Perchè abbiamo l’impressione che le modalità di convocazione del congresso di Chianciano vadano nella direzione opposta. Questo documento non è un documento congressuale, non vuole dare risposte ma porre domande. Per questo è breve, sintetico, forzatamente schematico. Ci sarà tempo e modo per gli approfondimenti.

Le elezioni del 14 aprile.

Le elezioni del 14 aprile 2008 hanno segnato un cambiamento di portata storica. Sono ormai venuti a maturazione processi di riconversione produttiva e di sconvolgimento sociale che sono iniziati trent’anni fa, ai tempi della grande crisi economica degli anni ’70. La disgregazione e la decomposizione delle classi sociali, quali si sono strutturate nel corso dell’industrializzazione (per l’Italia, grosso modo, tra l’inizio del ‘900 e il 1980) hanno prodotto un mutamento della società, dei modelli culturali e comportamentali, degli stili di vita. Non crediamo sia possibile ascrivere la scomparsa della sinistra dal Parlamento solo alla protervia del PD, o agli errori dei nostri Dirigenti, o alla deludente politica del Governo che abbiamo sostenuto. Non è vero che la nostra sconfitta sia dipesa solo dalla partecipazione al Governo Prodi. Se ci fermiamo a questo non capiamo ciò che sta avvenendo nel mondo, o pensiamo che il nostro piccolo partito possa/debba procedere, con qualche aggiustamento di linea e di dirigenza, nonostante tutto intorno stia mutando. Come al solito, è molto più facile attribuire le disfatte ad errori tattici invece che a carenze strategiche.

E’ invece necessario uno sforzo di analisi di portata gigantesca, perchè deve tenere conto di processi che avvengono su scala mondiale e che sono interconnessi tra di loro, nel quadro di una società estremamente più complessa rispetto a quella dell’industrialismo. Potremmo dire che le elezioni del 2008 rappresentano una frattura almeno pari a quella che rappresentò, sul piano dei rapporti di forza tra le classi, la sconfitta del movimento operaio alla FIAT nel 1980.

I nostri strumenti di analisi sono antiquati.

Centosessant’anni fa Engels e Marx hanno elaborato gli strumenti intellettuali necessari per analizzare quella società, la società in cui si stava affermando un modo nuovo di produrre, basato sulle macchine e sulla centralità della fabbrica. Hanno individuato la lotta di classi sociali come chiave di lettura della storia, e come base per elaborare una strategia che portasse alla rivoluzione sociale. Oggi, senza un profondo aggiornamento di quegli strumenti di analisi, farebbero fatica anche loro! Pensiamo soltanto alla portata che oggi hanno le religioni nel confronto/scontro tra i popoli: c’è qualcuno che se la sente di risolvere semplicisticamente la questione ricordando “l’oppio dei popoli”? Oppure potremmo riflettere sul fatto che a metà del 1800 non esistevano mezzi di comunicazione di massa, e che non era nemmeno possibile immaginare l’effetto che avrebbero avuto, dopo 100 anni, nel condizionamento delle masse e nella creazione del consenso. Marx ed Engels avevano individuato l’interesse economico come la molla che avrebbe portato il proletariato ad un mutamento rivoluzionario dei rapporti di produzione e alla creazione di una società in cui, per la prima volta nella storia, si sarebbe determinata la dittatura della maggioranza (il proletariato, appunto) sulla minoranza (la borghesia ed i contro-rivoluzionari sconfitti). Le cose non sono andate proprio così: il capitalismo è stato molto più abile nel perpetuare il proprio dominio ed il “socialismo reale” ha prodotto dittature, nuove gerarchie sociali, oppressione dei popoli, sconvolgimento degli ecosistemi. Già ottant’anni fa Gramsci, dall’isolamento del carcere, ci ha insegnato il concetto di “egemonia culturale” e ce ne ha indicato l’ineludibilità. Nel 1974, nel pieno di quella crisi che avrebbe portato a modificazioni strutturali della nostra società, Pasolini scriveva: “L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perchè questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui “deve” obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza.” Parole profetiche, che definiscono con una precisione sorprendente ciò che è avvenuto e che ci spiegano, più di tante nostre elucubrazioni, il mondo in cui viviamo e che ci ostiniamo a non vedere, a non capire.

Lo “svanimento” della Sinistra Arcobaleno.

La Sinistra Arcobaleno si è rivelata una bolla inconsistente perchè lo era. Ma sarebbe stato lo stesso un errore non farla. Insomma: i problemi sono ben più grandi, non ce la si può cavare dicendo che gli elettori non conoscevano il simbolo! Berlusconi ha vinto tutto inventandosi un partito due mesi prima delle elezioni dal predellino della sua auto. Il simbolo di quel partito, oltre che sconosciuto, è pure brutto. E ha vinto le elezioni non perchè Forza Italia sia presente sul territorio, o faccia lavoro politico nei luoghi di lavoro, o presenti candidati onesti e puliti: ha vinto le elezioni perchè la maggioranza del popolo italiano si riconosce negli ideali di cui è portatore e negli atteggiamenti, spesso imbarazzanti, che assume. Berlusconi è l’Italia, ci piaccia o no. Noi perdiamo per il motivo opposto: gli italiani non si riconoscono negli ideali di cui siamo portatori, forse perchè nemmeno noi sappiamo più tanto bene quali siano.

Un’ora dopo la chiusura delle urne la nostra coalizione elettorale si era già squagliata come un gelato spiattellato sull’asfalto assolato. Ci saremmo aspettati un po’ più di dignità e di cautela da parte degli autorevoli rappresentanti della Sinistra italiana. Avremmo preferito dai nostri dirigenti qualche silenzio in più e qualche sordida polemica in meno. La credibilità delle persone, e anche delle forze politiche, si vede anche da come sanno perdere.

La resa dei conti nel Partito.

Nel Partito della Rifondazione Comunista si stanno facendo i conti. Solo delle elezioni? Forse anche di un’esperienza che in 17 anni di storia non è riuscita ancora a produrre obiettivi, modalità di discussione e di elaborazione politica che fossero condivisi e che divenissero patrimonio comune consolidato. E’sconcertante che compagni di grande esperienza, con ruoli importanti, al manifestarsi della sconfitta si siano immediatamente lasciati andare all’antico esercizio del rimpallo di responsabilità, invece che assumersi collettivamente l’onere del risultato negativo, avviare una fase di riflessione e di ricerca, aprire un dibattito che investe direttamente tutta la sinistra italiana, anche quei compagni che hanno votato per il PD, o che si sono astenuti, o che hanno dato il loro consenso ad altre forze minori dell’arcipelago comunista. Perchè, sia chiaro, la sconfitta è sconfitta di qualunque ipotesi di uscire in senso progressivo e rivoluzionario dalla crisi che attanaglia la società italiana come le altre società a capitalismo maturo. Ciò che si è prodotto nel nostro Paese è l’annullamento a livello parlamentare di una qualunque forma di rappresentanza di un’ipotesi alternativa di società. A fronte di questa constatazione le reazioni in Rifondazione Comunista sono state scomposte, inadeguate, deludenti. A noi pare che il nostro Partito abbia comunque delle responsabilità, come forza principale della sinistra italiana, non solo nei confronti dei suoi militanti, ma nei confronti di tutti coloro che sono rimasti senza fiato all’apparire del nuovo quadro istituzionale. E le responsabilità sono innanzitutto in ordine all’apertura di una fase, necessariamente non breve, di dibattito a tutto campo, nel quale la centralità deve essere data ai contenuti dell’agire politico, non alle forme. Invece abbiamo assistito al tentativo di rifugiarsi negli aspetti formali: partito sì, partito no, andiamo avanti con la coalizione, torniamo al simbolo, creiamo il nuovo Partito Comunista, quello vero, quello autentico...

E naturalmente si sono anche fissati luogo e data della conta.

Il Congresso di Chianciano.

Perchè un congresso a mozioni non è altro che una conta. Nella migliore delle ipotesi ne verrà fuori un Partito che riprodurrà le stesse divisioni che esistevano prima, con una credibilità interna ed esterna ancora più limitate. Nella peggiore delle ipotesi sarà la deflagrazione. Dopo di che ci vorranno almeno venti anni per ricostruire qualcosa che assomigli ad un soggetto politico capace di essere punto di riferimento per gli oppressi e i diseredati, cioè la maggioranza della società. Tutto questo mentre i processi di delocalizzazione produttiva, di frammentazione sociale, di devastazione culturale e di conflittualità a livello globale che sono già in atto saranno arrivati ad un punto di non ritorno. Allora varrà solo il “si salvi chi può”. E noi che faremo? Saremo ancora lì a rinfacciarci le colpe l’un l’altro? Che tristezza, compagni!

Leggere il regolamento per il VII Congresso del PRC fa uno strano effetto. Dà l’idea dell’equipag-gio di una nave che, nel mezzo di una burrasca micidiale, si affanna a scrivere le norme per l’uso dei salvagente e delle lance di salvataggio, invece che provare a governare la nave, affrontare il fortunale e portare in salvo il bastimento e chi ci sta sopra. Tutto ben previsto, tutto rigidamente controllato. Nulla sfugge alla procedura.

Sembra quasi che anche tra le nostre file ci sia un grande bisogno di sicurezza, la sicurezza che viene da tutto ciò che è noto, da tutto ciò che è previsto perchè prevedibile. E’ sempre così: quando il nuovo incalza, ed è un nuovo che non ci piace affatto, corriamo a riabbracciare ciò che è vecchio e conosciuto, e per ciò stesso rassicurante, certi che costituisca la ricetta migliore per la terapia di cui abbiamo bisogno: la bandiera rossa, la falce e il martello, le mozioni e le rappresentanze proporzionali, i vecchi cari slogan, il “lavoro di massa”, la presenza sul territorio.

In fondo nemmeno noi crediamo che possa funzionare, ma ci confortiamo e ci riconosciamo nel ripetercelo. E ci chiudiamo sempre più al nuovo che avanza, incapaci di capire, incapaci di farci capire.

La rifondazione.

Noi crediamo che non sia questo il modo di affrontare ciò che si è prodotto. Un confronto tra diverse mozioni, ognuna delle quali si ritiene espressione della “linea giusta”, è impensabile ed è improponibile. Procedere su questa strada è deleterio per il nostro Partito, per il dibattito nella sinistra, per la stessa sopravvivenza di un progetto di cambiamento sociale.

Ci sembra che proprio in questa fase tutte le forze della sinistra debbano rifuggire da qualunque schematismo, debbano avere il coraggio e la dignità di tenere aperto il dibattito e il confronto. Abbiamo bisogno di dirigenti che restino al loro posto senza protagonismi e senza isterismi, e soprattutto senza rese dei conti; abbiamo bisogno di un partito aperto e plurale, un luogo di convivenza e di confronto tra opzioni diverse che accettano di contaminarsi senza prevaricarsi. Abbiamo bisogno di un partito che sia trasparente, che non abbia paura di mettere in piazza le sue debolezze e le sue incertezze. Abbiamo soprattutto bisogno di rifondare e ricostruire l’idea stessa che questo mondo non sia l’unico possibile. La quasi totalità della comunità umana è invece convinta che le cose non possano che andare così, anche perchè noi, l’esigua minoranza che frequenta partiti e movimenti, forum mondiali, associazioni del terzo settore e qualche parrocchia in odore di eresia, non siamo capaci di proporne un altro. Tanto meno siamo in grado di praticarlo: non ci si può candidare ad essere i portavoce della libera e pacifica convivenza tra i popoli per poi dimostrare di non essere in grado nemmeno di convivere con i compagni che danno una lettura della situazione solo leggermente divergente dalla nostra! Per questo motivo siamo convinti che Rifondazione Comunista non abbia scelta: o sarà il luogo dell’incontro, dell’intreccio e della sintesi delle differenze, oppure –semplicemente- non sarà.

Le nostre posizioni.

- Crediamo che si debba ripartire da ciò che abbiamo, e cioè dalle nostra macerie; ma su queste macerie vogliamo costruire, non produrre ulteriori frammentazioni!

- Ci rifiutiamo di schierarci e parteciperemo a tutti i congressi, di circolo e di federazione, senza optare per una mozione, ma chiedendo che i delegati al Congresso Nazionale, nel numero spettante alla Federazione sulla base degli iscritti, siano eletti su un’unica lista aperta. Sappiamo che questa è una forzatura: ce ne assumiamo la responsabilità.

- Non abbiamo nessuna intenzione di entrare, allo stato delle cose, nella diatriba partito sì / partito no / federazione: è l’ennesima trappola per scontrarci sulle forme dell’agire politico e per evitare di affrontare i nodi della sostanza.

- Chiediamo che gli organismi dirigenti della Federazione siano eletti non sulla base dell’appartenenza ad una mozione piuttosto che all’altra, ma in base alle loro capacità, al contributo che sono in grado di dare all’elaborazione ed alla realizzazione dell’iniziativa politica del Partito.

- Chiediamo che il Partito si faccia promotore, insieme alle altre forze politiche, partitiche e associative della sinistra, di occasioni di dibattito ovunque sia possibile, con chiunque sia disponibile: è il momento di discutere e di ragionare, con calma, mettendo in campo tutta l’intelligenza collettiva che siamo in grado di esprimere.

- Il caro Pietro Ingrao pochi mesi fa ci chiamava “Al lavoro e alla lotta!”. Al lavoro per rifondare un progetto rivoluzionario che sappia mettere mano alle storture del mondo. Alla lotta contro le ingiustizie e contro la guerra, contro la fame e contro lo sfruttamento. Non ci sono altre lotte che valgano la pena di essere ingaggiate.

21 maggio 2008-05-21

Giannino Marzola, Comitato Politico Federale PRC CUNEO

David Valderrama, Comitato Politico Federale PRC CUNEO

Dario Colombano Circolo "Salvador Allende" Savigliano

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