giovedì 7 agosto 2008

Sergio Dalmasso - Intervento al congresso nazionale PRC (Chianciano, sabato 26 luglio 2008)

Intervento al congresso nazionale PRC (Chianciano, sabato 26 luglio 2008).
Sono tra i/le pochissimi/e che, dopo aver votato Sinistra critica al congresso di Venezia, ha deciso di non seguire la componente nella rottura del dicembre scorso, dopo l’ennesimo scacco della nostra partecipazione al governo e dopo il secondo grave rinvio del congresso nazionale.
Siamo rimasti/e in Rifondazione convinti/e che l’ipotesi dell’Arcobaleno non fosse per nulla definitiva e che toccasse ad iscritti e iscritte pronunciarsi sul destino del nostro partito e sul bilancio di scelte errate.
Sono falliti chiaramente tutti i presupposti del congresso di Venezia: la possibilità per le spinte di movimento di incidere sulle scelte del governo, il superamento delle leggi simbolo della destra (Bossi- Fini, l. 30, Moratti…) e di quelle “vergogna”, la lettura di un centro sinistra spostato a sinistra (ricordate che il presidente della provincia di Roma aveva svolto la campagna elettorale con la bandiera della pace?), la Grande Riforma (notare le maiuscole), la convinzione che parte della borghesia avesse scelto una ipotesi progressista (il dibattito profitto/rendita).
Ora tutti/e accettano e sostengono queste critiche, ma chi, per anni, ha messo in guardia da questa deriva è stato ignorato, emarginato, accusato di estremismo, anche allontanato.
Il degrado del nostro partito evidenziato anche dalla poco edificante polemica sulle tessere, è dimostrato dall’incapacità di iniziativa da parte dei circoli, dalla totale caduta dell’autofinanziamento, con conseguente totale dipendenza da quello pubblico, ma anche dalla cooptazione, dalla logica della carriera a vita, basata sulla fedeltà, su cursus honorum nati non da esperienze significative di lotta e di organizzazione, ma su promozioni progressive, in base a cordate, piccoli gruppi di potere…
La scelta elettorale, mai discussa dagli/dalle iscritti/e, è direttamente legata alla scelta governista. Anche in questo caso, sono stati ignorati, o accusati di vecchiume nostalgico, gli appelli e le critiche, come i timori di quei/quelle pochi/e che vedevano in questa scelta la riproposizione del fantasma di NSU (stesse logiche, stessi presupposti, stessa presunzione).
Sono stati ignorati tutti i segnali che ci parlavano del fallimento della nostra strategia politica:
- i fischi a Mirafiori (dicembre 2006) addebitati ai soliti provocatori
- il silenzio e l’astio dei lavoratori alle porte delle fabbriche
- le contraddizioni dopo la manifestazione di Vicenza (febbraio 2006) con il nostro voto sulle “missioni di pace” e sull’aumento delle spese militari
- il fallimento della manifestazione del 9 giugno 2007, con una piazza vuota contrapposta a una manifestazione di massa organizzata dal sindacalismo di base e da forze critiche
- la sconfitta elettorale del maggio 2007 (eravamo sotto al 3%) non addebitabile al carattere amministrativo delle elezioni
E’ stata letale la scelta di trasformare in rendita elettorale gli spazi aperti dall’ondata di movimento e dalle vicende interne al Partito democratico.
Letale l’idea di governare la globalizzazione con il pieno dispiegamento del mercato, frenandone le tendenze monopolistiche.
Nell’intera Europa, la politica del meno peggio ha portato alla crescita della destra; in Italia i danni sono stati maggiori per la scomparsa dei tre grandi partiti di massa che hanno segnato il cinquantennio della “prima repubblica”.
Un vecchio libro (1969) sugli studenti lavoratori diceva che il peggior crimine di un insegnante è annoiare chi, dopo aver lavorato il giorno intero, è a scuola; così possiamo dire che è crimine di un partito aver deluso le aspettative, le speranze, le utopie di chi si è avvicinato a noi (penso ai/alle tanti/e giovani), per poi trovarsi invischiato/a in logiche opposte.
Vi era un’altra strada? Pensiamo di sì.
Nel 2001 Genova poneva le basi per una aggregazione di massa, con una generazione che poneva le questioni epocale della contraddizione ambientale e dei nodi centro/periferia del mondo e guerra/pace.
Nel 2003 un referendum, certo sconfitto,ci poneva al centro di un rapporto con forze politiche e sociali che avrebbe potuto costruire legami e alleanze (anche elettorali contro la destra).
Abbiamo assistito, invece, alla esaltazione acritica del movimento in tutte le sue forme, alla feticizzazione della sua saggezza spontanea che ignorava il bisogno di progetto e direzione politica.
Il movimento, così, è stato esaltato (siamo tutti disobbedienti!) e poi depresso se non abbandonato dalla nostra pratica governativa.
Nel 2006 le elezioni politiche segnavano un pareggio, ma poche settimane dopo, il referendum contro la devolution di Maroni vedeva un 60% di no, segno della possibilità di spezzare il blocco sociale della destra, unica carta per evitare il tracollo successivo.
Vi è la necessità, oggi, di una reale svolta a sinistra, dell’abbandono definitivo dell’ipotesi Arcobaleno,dell’unità di azione su temi concreti (le politiche del governo non ci lasciano che l’imbarazzo della scelta) e non su labili ipotesi politiciste, del rilancio del sindacalismo di classe, della reale verifica delle giunte locali, di una riforma del partito in capite et in membris, di una manifestazione in autunno non puramente identitaria, ma su precisi contenuti democratici e di classe.
Vi è la necessità di rifondare un partito comunista come strumento della più ampia unità a sinistra. E’ un dovere che la stessa globalizzazione capitalista impone, per riaprire un fronte di opposizione e contribuire a rilanciare le spinte di movimento.
Rifondazione è nata nel 1991 su una sconfitta complessiva: chi, come me, aveva seguito il percorso della nuova sinistra, aveva fallito nel generoso tentativo di costruire una alternativa credibile alla sinistra riformista, chi proveniva dal PCI aveva visto crollare, quasi improvvisamente, tutti i riferimenti, dall’URSS al campo socialista, dal più grande partito comunista del mondo capitalistico alla stessa fiducia nel gruppo dirigente.
Abbiamo tentato allora, senza riuscirci, una fusione di esperienze e una chiarificazione programmatica senza rete, sul passato e sul futuro, fra diverse culture e tradizioni.
Restano irrisolti troppi nodi che una vera rifondazione comunista deve oggi affrontare:
- quello della democrazia, nel partito e nella società
- quello del governo, dopo il nostro doppio fallimento (1996/’98, 2006/08), dopo lo scacco dello stesso PCI (unità nazionale 1976/’79), dopo il ridimensionamento del PCF in due esperienze di governo, dopo le stesse contraddizioni del PT brasiliano. Non abbiamo mai operato un bilancio complessivo su questo tema che non possiamo rimuovere dicendo che non ci toccherà per anni. Ricordo la interessante analisi di Cossutta in una lunga intervista a Rina Gagliardi sulle due partecipazioni governative nella storia del PCI, pure in due periodi di profonde trasformazioni, conclusesi con gravi scacchi sulle questioni sociali.
Non esistono scorciatoie politiciste (incontri tra vertici di partiti); è fondamentale tentare di raiggregare forze comuniste e anticapitaliste, oggi disperse, su contenuti e pratiche sociali, con un impegno di confronto e di lavoro comune.
Serve un grande lavoro teorico che leghi il pensiero marxista alle grandi “emergenze” degli ultimi decenni: la questione ambientale, la democrazia di genere, il nodo nord/sud del mondo. L’abbandono del marxismo teorico è tra le cause della nostra sconfitta, ma serve oggi uno scatto nell’analisi: se Marx analizzò il capitalismo, se Lenin e Rosa Luxemburg lessero la nuova fase (l’imperialismo), oggi occorre che il marxismo si misuri con la globalizzazione, la nuova natura delle guerre, questioni etniche, religiose…spesso inedite. Ricordiamo come la stessa Rosa Luxemburg, davanti alle inedite questioni del primo decennio del ‘900, in più casi abbia detto: Questo in Marx non c’è e abbia cercato di “andare avanti”.
Serve un grande lavoro sociale che ricostruisca una vera opposizione (precarietà, diritti, massacro ambientale, scuola, salute, trasporti…).
Serve una proposta politica di non breve respiro che veda la ricostruzione di un partito comunista non come atto di volontà, ma come processo che parta dalle realtà locale, che intrecci lavoro di massa, discussione, confronto.
La testata dell’”Ordine nuovo”, frutto del grande movimento consiliare e di un grande comunista critico come Antonio Gramsci recitava:
- Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo
- Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza
- Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra conoscenza

Dopo decenni di modesta e spesso sfortunata militanza, vorrei ancora provarci.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao, condivido completamente il tuo intervento e devo dire che l'esito del congresso mi ha sorpreso parecchio, quando decisi di uscire dal partito non credevo possibile un suo ripensamento sulla scelta governista.
Credo però anche che questa svolta si debba ora concretizzare, oltre che nei modi da te indicati, anche in una uscita dalle giunte regionali e locali, possibilmente senza aspettare di esserne sbattuti fuori dalla vittoria delle destre, e in questo non vedo ancora molti segnali di svolta.
Ciao
Fausto Angelini

Powered By Blogger