mercoledì 4 aprile 2007

IL BENE COMUNE SALUTE

CONTRIBUTO DI
ANDREA BRUNO
AL DIBATTITO
“ IL BENE COMUNE SALUTE”
FORUM DELLE ALTERNATIVE POSSIBILI
SABATO 31/03/2007 – BORGO S. DALAMAZZO

Provo a presentarmi in duplice veste :
- come sindacalista di categoria, il cui compito principale è la tutela dei lavoratori del settore
- ma anche come cittadino che per provenienza, interesse, professione ed opportunità di partecipazione e ascolto/condivisione con altri cittadini ha sviluppato una certa attenzione alle questioni che hanno a che fare con la salute.

Tenterò dunque di svolgere questo contributo altalenando tra questi due punti di vista differenti ma non necessariamente opposti se si individuano obiettivi di salute condivisi Proverò a giocare il ruolo ed il controruolo di me stesso.

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO, ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI
Voglio partire da questa parola “organizzazione”
Questa parola è una mia fissazione. Dico mia perché ogni volta che la pronuncio vedo sguardi stupiti, interrogativi, annoiati, anche infastiditi.

Capisco la controparte, in trattativa, che vede potenzialmente messe in discussione le certezze su quello che si deve fare, vorrebbe al massimo trovare accordo sul come farlo, non discutere anche della necessità di farlo, del SE è utile farlo per raggiungere lo scopo (qual ‘è lo scopo? Salute, sanità, medicina, cura, produzione, soddisfazione delle richieste ?)Insomma il pericolo per lui è di mettere in discussione la sua insindacabile capacità e autorità di interpretazione e traduzione del diritto alla salute. (in questo l’approvando PSSR inserisce qualche elemento interessante…)

Capisco meno questo atteggiamento quando proviene dai lavoratori e da utenti che sono poco propensi a discuterne, ma continuamente lamentano/patiscono i prodotti della dis-organizzazione o della non organizzazione in cui si imbattono con una qualche frequenza.Un esempio: le liste di attesa a partire dalla necessità/apropriatezza della prestazione. Tema su cui non desidero addentrarmi in questa occasione, mi limito a citarlo come esempio. Credo che lo scopo del sistema sanitario sia quello di coniugare il benessere (la buona e appropriata soddisfazione di un bisogno) del cittadino-utente e quello del cittadino-operatore.
Le due esigenze non sono in contrapposizione, ma possono soddisfarsi se le necessità vengono affrontate in concomitanza e da una prospettiva ampia.
Non è soddisfacente ottenere una prestazione (qualunque essa sia) a tutti i costi, in qualunque condizione indipendentemente dalla qualità di benessere umano e lavorativo di chi la fornisce.
Questo ha molto a che fare ( è intuitivo) con
- organici
- professionalità e formazione opportuna ed adeguata
- orari, turnazione e ritmi di lavoro.In una parola con l’organizzazione del lavoro.

Di fronte ad una situazione di dis-organizzazione o di buona organizzazione ma orientata ad un fine differente dalla Salute con la S maiuscola, si assiste ad una contrapposizione tra operatore e cittadino
- arrogante-preseuntuoso-non capisce-non ascolta-fannullone etc.
- distacco-aggressività-tecnicismo-invocazione di entità superiore… che apoditticamente “stabilisce”.
Ci si trova di fronte ad una situazione cone quella del ferroviere con cui ci si lamenta perché il treno è sporco, in ritardo, con i bagni senza acqua etc.
Frustrazione pura con tutta la gamma di risposte possibili: rabbia, autoritarismo, indifferenza, stupore, promesse, dichiarazioni esplicite di impotenza, che non servono né all’uno né all’altro.

BISOGNI DA CONCILIARE ATTRAVERSO UN ACCORDO-PATTO-CONTRATTO
tra cittadino con esigenze specifiche
ed operatore con esigenza di empatia e di manifestarsi come essere intero senza svilire la sua umanità ( riconosciuta come causa importante di burn out), la sua debolezza senza rifugiarsi dietro al muro del tecnicismo, ma anche senza un costo eccessivo per lui.
E’ possibile pensando al sistemna in termini di promozione della salute, di salute come bene comune, diritto intangibile e costituzionalmente tutelato.
Non è possibile pensando alla salute esclusivamente come sanità o, peggio, cura e soprattutto in termini di produzione, azienda, pareggio di bilancio, utili etc.Con questo non voglio essere frainteso: so bene che i costi sono un elemento del sistema che deve essere considerato, ma mi pare che interventi precedenti….abbiano fornito anche illuminanti elementi in questo senso.

IN SANITA’ LA SPINTA PRODUTTIVISTICA E’
PREOCCUPANTE E CONTRADDITORIA
Una azienda produce un qualcosa che, se venduto, provoca una entrata. Se le cose vanno per il verso giusto questa entrata dovrebbe essere tale da ripagare delle spese e produrre un utile che può essere reivestito, ridistribuito etc.
Capite come questa analogia non calzi per una azienda sanitaria.
Produzione non fine a se stessa ma APPROPRIATA cioè finalizzata alla salute.
Copertuta dei costi (COSTI RAGIONEVOLI) attraverso la fiscalità generaleUTILE? GUADAGNO?
E ancora: come si misura la produzione sociale dell’operatore sanitario?

La produzione nei servizi alla persona in senso lato è da considerarsi allo stesso modo che in una “azienda” ?
- Quanti pezzi ?
- In quanto tempo ?

Le distorsioni che nascono dalla concezione produttivistica della salute sono ovvie ed evidenti :

- dagli escamotages per superare i vincoli che impediscono la produzione o che la limitano, di cui abbiamo uno splendido esempio con la crezione di AMOS
- dalla capacità di ribaltare i costi al di fuori dell’Azienda: dimissioni precoci, day surgery etc. sono esempi di come il costo possa essere spostato su altre aziende o addirittura sul paziente e sulla sua famiglia
- dalla crescita del tecnicismo degli operatori sanitari che diventano sempre più esperti nel compiere azioni misteriose e magiche e sempre meno portati alla “Therapeia” al “prendersi cura”, al “nursing”, alla “relazione”, alla presa in carico, al farsi carico della persona e dei suoi bisogni.
- al considerare il tempo come un elemento della produzione piuttosto che come uno spazio di “relazione”.
In una Azienda in cui la produzione avviene attraverso soprattutto “macchine umane” ed è destinata a uomini, questi aspetti assumono connotazioni evidentemente contradditorie.

ALLORA POSSIAMO/DOBBIAMO PORCI IL PROBLEMA
- del tempo come bene sociale al servizio della salute
- della valutazione della qualità non solo tecnica o percepita, ma globale (mi soffermo un istante sulla mitizzazione delle certificazioni ISO che garantiscono che, magari produci uova marce, ma tutte uniformemente marce allo stesso modo)
- della decrescita o almeno della sobrietà dell’utilizzo della sanità e della medicina

che, per terminare in termini produttivistici, rappresenta un costo dell’80% del nostro bilancio regionale e produce /incide meno del 20% in termini di miglioramento della salute secondo le stime di quel pericoloso e sovversivo organismo che è l’O.M.S.

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