domenica 17 gennaio 2010

CRAXI SANTO SUBITO


Craxi riabilitato, sintomo
di un degrado irreversibile



 



Vittorio Bonanni intervista Marco Revelli 
su Liberazione del 17 gennaio 2009

Si sente già dal tono della voce. Quando a Marco Revelli  chiediamo di parlare di Craxi, della sua ormai totale riabilitazione, non riesce, come è sua abitudine, a nascondere, rabbia, indignazione  ma anche impotenza di fronte ad un coro pressocché unanime nei  riguardi dello scomparso ex leader socialista. «Credo davvero che il fatto che si possa concepire anche solo l'idea di proporre la  riabilitazione di una figura come quella di Craxi - stigmatizza il sociologo - sia il sintomo di quanto degradata sia la situazione  politica italiana. Quella di dedicare una via o un giardino a un leader politico che è stato condannato in modo definitivo con sentenze passate in giudicato, non una volta ma più e più volte, per reati gravi dal punto di vista giuridico e dal punto di vista politico, è una proposta che non avrebbe avuto cittadinanza in nessun altro paese europeo o forse anche dell'intero Occidente. Basti pensare che cosa è successo al povero Kohl. Quello sì uno statista se vogliamo, almeno dal suo punto di vista. Malgrado avesse realizzato l'unificazione tedesca, è stato escluso persino dai festeggiamenti del ventennale della caduta del Muro perché un suo segretario accettò un finanziamento illegale per il partito. Un frammento infimo di ciò che può essere imputato a Craxi».

Questo perché c'è ormai in Italia una classe politica troppo simile a quella craxiana…
E senza nessuna capacità di autogiudizio. I criteri in base  ai quali si valuta la qualità personale, umana e politica dei  protagonisti di cui si discute è il segno di quanto la nostra classe  dirigente sia estranea ad ogni principio valutativo su se stessa che non sia il puro e semplice esercizio del potere. Questo è il segno del trionfo del berlusconismo, forma estrema del craxismo dal punto di vista antropologico e della struttura del comportamento. Berlusconi in fondo porta alle estreme conseguenze quello che Craxi aveva inaugurato.

Un condizionamento dal quale però il centro-sinistra non è stato in grado di smarcarsi...
Infatti si tratta purtroppo di un atteggiamento bipartisan. Che significa che non ci sono evidentemente anticorpi nei confronti di questa tentazione di prescindere totalmente dalle responsabilità giudiziarie e morali nella valutazione di una figura politica. La valutazione dal punto di vista della legalità e dal punto di vista della moralità è esclusa ormai dal giudizio. Insomma non esiste più nel panorama politico italiano, diciamo tra le forze di maggior peso, in particolare in questo  bipartitismo imbastardito che ci hanno imposto con l'asse Pdl-Pd, chi possa far valere gli anticorpi nei confonti della tentazione amoralistica e tendenzialmente illegalistica che prevale nei gruppi di potere. L'atteggiamento che mi pare di poter cogliere nel gruppo dirigente del Pd non si differenzia sostanzialmente da quello dei sodali di Craxi come Cicchitto, una  parte non secondaria di classe dirigente del Psi di Craxi  trasferitasi armi e bagagli in Forza Italia. E questa è una considerazione amara. C'è questa maledizione italiana che sta nel  deficit morale delle sue classi dirigenti.

Amarezza appunto. Ma come è stato possibile che questo avvenisse anche all'interno del Pd?
Se dobbiamo dare un giudizio un po' meno contingente direi davvero che questo dimostra la storica fragilità morale delle  classi dirigenti italiane.

Compresa quella ex comunista...
Sì, compresa quella ex comunista. Si pensò che l'opposizione antifascista e la Resistenza avessero prodotto questi anticorpi. Avessero almeno in parte rimediato a questa fragilità della nostra classe dirigente. E in effetti la prima classe politica dell'Italia repubblicana, quella  che si era formata nella lotta antifascista, era diversa. E i comunisti figuravano come l'esempio più netto di una diversità.

Ed è stato così fino a Berlinguer, vero?
E' stata un'autorappresentazione in buona misura confermata da un buon numero di protagonisti formatisi nel fuoco e nella durezza della lotta clandestina e nella Resistenza. I comunisti appunto potevano essere criticati per molti aspetti ma non dal punto di vista del proprio personale rigore morale. Perché era tutta gente disposta a pagare di persona. Questo equilibrio tra etica e politica che caratterizzava soprattutto la sinistra nel ventennio successivo al '45, era programmaticamente presente nel Partito d'Azione ma il partito di massa che lo interpretava e che per questo era rispettato  anche dagli avversari era appunto il Partito comunista. Questo scenario subisce una prima falla con il centro-sinistra, nato per la prima volta nel 1963 con Aldo Moro e il Psi, che mostrò delle crepe nella moralità, nell'alterità morale della sinistra con ancora tuttavia dei forti anticorpi. Nenni non era certo un corrotto né un corruttore.

Questo quadro è poi destinato a peggiorare sempre  più, con una corruzione sempre più marcata che caratterizzò soprattutto la Democrazia cristiana e i suoi alleati, liberali, socialdemocratici e repubblicani. Che significò appunto in questo contesto l'arrivo del craxismo?
Il craxismo rappresenta un vulnus molto grave. Il Craxi degli anni '80 rivela le linee del craxismo, perché quello della seconda metà degli anni '70 è un Craxi che guarda a Proudhon, è quello dell'autonomismo e può ancora essere presentato come un leader che combatte una partita politica per la vita e per la morte stretto nella tenaglia del compromesso storico. Quello del decennio successivo apre uno scenario nuovo che anticipa tutte le linee fondamentali di quello che diventerà poi il quadro degli anni '90. E' davvero il laboratorio di incubazione della degenerazione berlusconiana. Il Craxi degli anni '80 cancella la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata e tra politica e affari. Incomincia a fare affari in politica, in modo conclamato. La politica diventa così un campo affaristico, per il partito, ma non solo per il partito, con elementi di personalizzazione dell'uso privato del potere pubblico.

Senza dimenticare la linea politica del Psi di Craxi, di attacco alle conquiste maturate negli anni precedenti dai lavoratori. Molti hanno visto in lui la versione italiana del thatcherismo e del reaganismo...
Non sono d'accordo. Craxi non c'entra nulla con il thatcherismo e con il reaganismo che furono forme di iperliberismo che lui, certamente, culturalmente sdogana. Ma poi c'è un aspetto specifico della pratica.

Quale?
C'è la capitalizzazione delle posizioni di potere per fare guadagni. E c'è la cancellazione della differenza tra politica ed  affari che apre la strada al partito azienda e agli atteggiamenti personali da ras. La forte personalizzazione della politica, l'uso del partito come cosa propria. Ricordo la sua elezione a segretario per acclamazione nel 1984. Quando Norberto Bobbio scrisse un durissimo articolo di critica, definendo quella la democrazia dell'applauso, spiegando che quella appunto non era democrazia e che in un partito retto da regole democratiche si vota anche se l'esito può essere scontato. L'acclamazione plebiscitaria è il gesto del potere che si ritiene legibus solutus , al di sopra delle regole, al di sopra della legge.

Perché tutto questo nasce in Italia da un partito storico della sinistra italiana, determinando così l'ennesima anomalia della politica del nostro Paese?
Se continuiamo a ragionare sulla lunga durata c'è una sorta di vocazione del socialismo italiano a generare al proprio interno dei fenomeni degenerativi della vita politica italiana. Il fascismo tanto per cominciare è nato da una costola del Psi. Mussolini era un alto dirigente del partito in cui militavano le sue vittime future, da Matteotti ai tanti che furono costretti all'esilio o al carcere. Che cosa era successo dal 1914 al '22?. Era successo che, come una spugna, il Psi aveva sintetizzato lo spirito del tempo traendone i peggior umori. Era molto dentro il proprio tempo, sviluppandone le tendenze peggiori. Aveva colto le difficoltà in cui si trovavano le classi subalterne italiane in quella fase, e aveva piegato la logica del conflitto di classe ad una logica di antagonismo nazionalistico. Insomma il Psi è una spugna degli umori del proprio tempo e in alcune fasi di crisi ne distilla il peggio. Il fascismo è stato questo, e anche negli anni '80 ciò si è ripetuto. Ha captato anche alcuni elementi di sovversivismo latenti e in sospensione nell'atmosfera del Paese e li ha tradotti in gestione spregiudicata del potere.

Di fronte alla riabilitazione di Craxi il Partito democratico non ha fatto altro che accodarsi. Perché questa impotenza?
Quello che abbiamo detto finora ci dà la misura di quanto noi siamo stellarmente distanti dall'Europa. E quanto deprimente sia, per venire alla domanda, il fatto che dal Pd non venga in questo senso un solo vagito. E' terribile, è davvero la fine di una qualsiasi possibilità di speranza di un riscatto italiano. Bisogna a questo punto avere il coraggio di dire che il Partito comunista, dal quale proviene gran parte del gruppo dirigente del Pd, era meno virtuoso di quanto non apparisse all'esterno. Aveva dentro di sé i germi di un cedimento morale che si è rivelato dopo la morte di Berlinguer. Era una generazione di dirigenti, allora giovane e che ha dato vita al gruppo dirigente successivo, infinitamente disponibile e a cui evidentemente la diversità comunista stava stretta. Perché? Perché era un tappo alla carriera, all'accesso pieno a quel potere che avevano annusato nella seconda metà degli anni '70 ed avevano identificato il mantenimento di se stessi al potere con il successo politico della propria forza. Sono cresciuti nell'invidia del craxismo per certi versi. C'è un ceto politico comunista che ha vissuto con sofferenza e un po' di invidia i successi di Craxi. Il controllo delle banche, il buon rapporto con l'impresa, i fiumi di denaro che affluivano nelle casse del partito, la spartizione dei posti. Quelli a cui Berlinguer appariva una cariatide. La vocazione alla conquista del potere, una volta perduto l'orizzonte della trasformazione radicale, della rivoluzione, si trasforma in pragmatismo volgare.

Neanche in riformismo, parola che aveva comunque una sua dignità…
Assolutamente. Il riformismo aveva un'elevata nobiltà perché era legata ad un progetto, ad un programma, ad una redistribuzione dei redditi, dei diritti, graduale ma sostanziale. E qui è invece persa completamente.

Quanto detto dimostra che Craxi non fu neanche un buon politico, come sostengono coloro che vogliono valutare la figura dell'uomo mettendo da parte l'aspetto della corruzione…
Se si giudica - come si deve giudicare - il politico dai risultati che raggiunge Craxi è stato un pessimo politico, soprattutto se noi pensiamo che arrivò alla guida del partito quando si presentò al Psi la più grande occasione della sua storia, e cioè quella di diventare il partito egemone della sinistra. Con la caduta del Muro e il venir meno del primato dei comunisti nella sinistra, Craxi avrebbe potuto diventare il leader di un partito egemonico di una sinistra riformista, se il suo fosse stato riformismo. O di una sinistra democratica se avesse avuto l'idea di una democrazia anziché di un potere personale. Ha invece determinato la cancellazione, e non per via giudiziaria, del suo partito perché il Psi perse allora totalmente la propria legittimazione. Si è insomma autoaffossato perché i suoi leader apparvero ad un certo punto impresentabili. E ora l'Italia è l'unico paese europeo che non ha un partito socialista.

Revelli, tutto questo che abbiamo detto lo sostengono in pochi. Le future generazioni penseranno veramente che Craxi è stato un povero perseguitato politico alla stregua dei fratelli Rosselli. Come se ne esce da questa situazione?
Una sinistra capace, sia pure in modo estremamente minoritario, di mantenere accesa l'immagine di una possibile alternativa si è autoaffondata per la propria insipienza, nel gioco incrociato dei distinguo e delle scissioni. E' questa è una responsabilità storica pesantissima. Che cosa rimane? Rimangono delle voci, che devono cercare di gridare il più forte possibile il proprio essere altro. Proclamare la propria secessione morale da ciò che avviene, facendo un servizio al Paese quale che sia il progetto politico generale. Quello verrà dopo.

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