sabato 5 settembre 2009

Statalisti, centralisti e patriottici: contro la Lega nessuna esitazione

Dietro sciocchezze e proposte che fanno sorridere c'è invece il disegno di spaccare un'Italia sull'orlo della balcanizzazione
Angelo d'Orsi

Le ultime dichiarazioni di leaders leghisti/nordisti stanno animando la vita pubblica, un po' ottenebrata sotto il caldo sole d'agosto. Il rischio, oltre al disinteresse estivo per la politica, è quello solito, di guardare a quanto giunge dal partito che ha usurpato il glorioso simbolo del Carroccio, come alle sparate degli ubriachi di mezzanotte, o come alle chiacchiere dei cacciatori che al bar raccontano balle sulle loro performances in doppietta.
Da tempo, in realtà, dietro le provocazioni di Bossi, Calderoli, Maroni & Co., affiora un disegno, che, come ha ricordato il vecchio saggio Carlo Azeglio Ciampi, è semplicemente quello della dis-unità d'Italia. A cominciare dal federalismo, come lo propone, anzi lo impone ai recalcitranti alleati, la Lega Nord (è ora di smettere di parlare semplicemente di "Lega", nome nobile per cose nobili: si pensi alle leghe contadine alle origini del movimento socialista italiano: bisogna aggiungere quella specificazione regionale, cosa a cui del resto gli
adepti tengono più di tutto. Nordisti, bisogna chiamarli, piuttosto!). Il federalismo nasce, di regola, come un prodotto di federazione, appunto, ossia di unione tra entità locali, non nasce, come finge di intenderlo Bossi, come uno strumento di frammentazione. Ci si federa, insomma, tra entità che sono distinte, per difendersi meglio, per produrre maggior reddito e dunque benessere per tutti; non si crea, invece, la federazione da una entità unica, per spezzettamento della stessa. Dunque, il federalismo, a cui colpevolmente la quasi totalità dello schieramento politico nazionale si piegò, facendo una specie di gara a chi per prima lo aveva proposto, è una proposta sbagliata e perversa. Antinazionale. E, necessariamente, posticcia, e antieconomica. Perché non lo si dice, a chiare lettere? Perché non si oppone un necessario statalismo, a questa sciagurata versione del "federalismo"?
Acquiescenti, in larga parte, verso il federalismo antiunitario, politici e opinionisti ora sorridono davanti alle ultime boutades dei signor Nessuno della Lega Nord, (ir)resistibilmente ascesi a sogli ministeriali o di guide parlamentari. E non si rendono conto che dietro le trovate caserecce, e non di rado pecorecce delle "camicie verdi" c'è la teorizzazione di un Paese egoista e menefreghista, un Paese dove la gente "si fa i fatti suoi", dove le tasse è meglio non pagarle e se proprio si debbono pagare, bisogna che vengano non redistribuite a tutti i cittadini, sotto forma di servizi di cui si avvantaggino in primo luogo i meno abbienti, i più disagiati; no, devono essere "restituite" a chi le paga, nel territorio dove egli le versa. Una concezione del fisco che farebbe rabbrividire un qualsiasi economista liberale. Ma perché gli economisti liberali, o i liberali economisti e non, tacciono? O la mettono sul ridere? Dietro la proposta del test dialettale, o di conoscenza della storia locale, o della introduzione dell'insegnamento e dello studio del dialetto (pardon: degli "idiomi locali"), dietro il grottesco attacco all'Inno di Mameli e dietro le sciocchezze sulle bandiere regionali (con altrettanti inni!), dietro le feste padane, dietro le gare sportive o i concorsi per Miss questo e Miss quello, all'insegna della stessa pseudo-nazione padana, c'è il progetto di spaccare l'Italia.
E' un'idea poco originale, altre volte presentatasi nella storia. Si pensi alla secessione del Katanga, nei primi anni Sessanta del ‘900, che provocò una guerra e molti lutti: era la zona più ricca, per via delle miniere diamantifere, del Congo. E sotto sollecitazione esterna (compagnie franco-belghe dei diamanti), si arrivò a creare un effimero Stato indipendente. Fu proprio in quella vicenda che il primo ministro della neonata Repubblica democratica del Congo, Patrice Lumumba, liberamente eletto, fu rapito e ucciso (per ordine diretto di Eishenower, si è scoperto ora). La secessione aveva un chiaro significato economico, di riduzione dei beneficiari della ricchezza, come si sta tentando ora in Bolivia, sempre su sollecitazioni di multinazionali; e di controllo sulle sue fonti. Ma ogni secessione è miope, in realtà; riducendo i beneficiari della ricchezza prodotta in loco, si riduce anche il mercato. Se il Nord abbandona "la zavorra" del Sud, come andranno le sue esportazioni? Come andrà il turismo? Scacciati gli insegnanti e gli impiegati meridionali, come funzioneranno scuole e burocrazia? E così via.
A differenza del Katanga, che fu una mossa improvvisa e di tipo militare - un golpe, insomma - i nostri nordisti stanno preparando il terreno, passo dopo passo. I loro ballon d'essai , lasciati passare, magari tra un sorriso e un gesto di fastidio, poco alla volta, creano senso comune. E prima o poi, ci troveremo balcanizzati. Perché alla secessione del ricco Nord, come risponderà, che so?, la Toscana? Dove andrà? Con la Padania? O con la "Repubblica del Mezzogiorno"? Insomma, è il caso di prenderli sul serio, i nordisti. E di dare battaglia, fin da ora. Sull'inno, sul tricolore, sui dialetti. E rimetter in discussione un federalismo spurio e pericoloso. E se si tratta di lottare contro costoro, e i loro disegni politici, non dovremo avere paura di passare per statalisti e centralisti, persino patriottici. Contro la pseudo-nazione "padana", rilanciamo i valori italiani, che stanno, tutti, nello straordinario crogiuolo che storia e geografia hanno disegnato, dandoci Napoli e Trieste, gli Appennini e le Alpi, il Po e il Tevere, Dante e Giordano Bruno, Garibaldi e Cavour, Porta Pia e Don Milani. E oggi si aggiungono nuove ricchezze umane dal Sud e dall'Est del mondo, contro cui, non a caso, proprio i leghisti/nordisti sbraitano, con la stessa colpevole ignoranza e lo stesso disinvolto cinismo con cui procedono verso la tentata dis-unità d'Italia. No pasaran!

da Liberazione
18/08/2009

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