mercoledì 18 febbraio 2009

Nessuna dittatura all'orizzonte, è un cammino vivo e partecipato

Venezuela, la vittoria di Chavez è la vittoria della democrazia
La vittoria nel referendum che modifica la costituzione, eliminando il limite di due mandati per gli eletti, rappresenta senza dubbio una rivincita di Hugo Chavez, dopo la sconfitta del precedente tentativo, nel 2007, di introdurre queste insieme ad altre riforme. In molti si erano affrettati, dopo quel risultato, a sancire l'inizio del declino della Rivoluzione bolivariana. Il voto di ieri dimostra che non è affatto così. Chavez gode di un grande consenso nel paese, maggioritario e radicato nei settori popolari, fra coloro che hanno beneficiato in questi dieci anni delle riforme sociali e della riappropriazione delle ricchezze del petrolio venezuelano, prima nelle mani di un'oligarchia corrotta e razzista, ed ora utilizzate per programmi di alfabetizzazione, sostegno al reddito, per i servizi sociali e sanitari nelle favelas che costellano gli agglomerati urbani del paese latinoamericano.In America latina tutti i paesi hanno sistemi presidenzialisti. Non si tratta, come in modo sbrigativo, fazioso ed interessato, i maggiori mezzi di comunicazione hanno tentato di rappresentare, dell'elezione a vita di Chavez. Si tratta però, questo sì, di un evidente desiderio che egli possa ricandidarsi alla guida del Venezuela.Ma potrà continuare a fare il Presidente solo se il popolo venezuelano lo vorrà. Il potere rimane nelle mani del popolo. A Chavez, ai governatori o ai sindaci, è concessa la possibilità di ripresentarsi. Al popolo rimane inoltre il potere, non di poco conto e sconosciuto nel resto del mondo, di chiedere la revoca di qualsiasi eletto, incluso il Presidente, a metà mandato. Lo stesso Chavez ha accettato di sottoporsi a questo referendum nel precedente mandato, vincendo limpidamente la sfida con un'opposizione che mantiene nelle sue mani il potere economico e mediatico del paese. Lo stesso è accaduto in Bolivia con Evo Morales. Ora in Venezuela accade ciò che avveniva in Francia, dove non esistevano limiti alle ricandidature. In Italia, vale la pena ricordarlo, vi sono parlamentari presenti ininterrottamente dal dopoguerra ad oggi. Si rassegnino coloro i quali che, nel tentativo di demonizzare e gettare una luce sinistra sul processo bolivariano, usano paragoni con altri tempi ed altri regimi politici. Non c'è nessuna dittatura all'orizzonte o all'opera. C'è un processo vivo, non privo di contraddizioni, come sicuramente quella di fondarsi sul protagonismo del suo Presidente, ma il Venezuela bolivariano è segnato, senza dubbio, dal consenso popolare e dal voto democratico. Dalla partecipazione dei tanti esclusi da sempre dalla vita pubblica. Chavez è stato motore ed ispiratore di quella rivoluzione che ha investito tutta l'America latina. Ha resistito ai tentativi di golpe e sabotaggio. Non ha cercato vendette contro un'opposizione violenta e complice del Dipartimento di stato Usa, ma ha lavorato a consolidare il consenso attraverso i programmi sociali e i tentativi di riforma di una società, quella venezuelana, ancora segnata da profonde disuguaglianze e ingiustizie. Chavez è una spina nel fianco per molti, perché testardamente insiste nel progetto di costruire un'America latina unita e indipendente. Perché insiste nella necessità di dotarsi di strumenti come la Banca del sud, Petrosur, o la stessa Telesur, che la emancipino definitamene dal controllo nordamericano, cercando un'integrazione basata sulla giustizia sociale e la solidarietà. Perché ha ridato vita all'idea di un socialismo per il XXI secolo, che anima non solo il Venezuela, ma l'Ecuador, la Bolivia, e ispira i movimenti sociali che anche nel recente Social Forum di Belem hanno dato prova di vitalità e di radicalità. Siamo contenti, perché con questa vittoria si è rafforzato questo processo. L'America latina, e il suo originale tentativo di dar vita ad una uscita da sinistra dalla crisi del neoliberismo e del capitalismo globalizzato, rappresentano una speranza anche per noi. La rappresentano non solo i suoi presidenti, dalle facce meticce o indie, dai programmi anticapitalisti e radicali, ma le tante donne e uomini che si sono messi in cammino, che con loro hanno rialzato la testa dopo secoli di dominio, e che, come dimostra il voto di ieri, hanno deciso di non riabbassarla tanto facilmente.
Fabio Amato
da Liberazione 17/02/2009




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