venerdì 2 gennaio 2009

Sinistra, mobilitati per la pace in Palestina

Intervista di Checchino Antonini al segretario di Rifondazione Paolo Ferrero al ritorno dal Medio Oriente


«A Gaza non v’è alcuna “operazione chirurgica”, è solo un massacro - dice Paolo Ferrero, poche ore dopo il ritorno dal suo primo viaggio in Palestina - chiediamo la fine immediata di qualsiasi azione militare e che l’Italia e l’Europa, o l’Onu, non si limitino solo a fare appelli, ma prendano una posizione netta, adottando anche delle sanzioni».

Subito dopo l’atterraggio, per il segretario nazionale di Rifondazione comunista, è stata una giornata incollata al telefono per costruire una mobilitazione «urgente e necessaria». Il suo vuole essere un appello, non una convocazione. «Una proposta di parte nuocerebbe alla costruzione di una iniziativa, la renderebbe più difficile», spiega. L’appello è diretto al tessuto dell’associazionismo, ai sindacati, a tutte le forze della sinistra per ricostruire un grande movimento per la pace, per ripartire da una manifestazione nazionale. «Ma senza alcuna equidistanza - insiste - siamo di fronte ad una azione militare da crimine di guerra, per cui non c’è nessuna giustificazione e dove non c’è nessuna relazione tra missili di Hamas e l’azione messa in campo.

La situazione è più critica di quella che viene raccontata dalle tv italiane. Anzi, la stampa israeliana m’è parsa più pluralista della nostra (e tutti, con la parabola possono vedere al Jazeera) dove nessuno ha dato notizia dell’uccisione di personale delle Nazioni Unite, sette funzionari».

L’offensiva israeliana ha sorpreso Ferrero a Gaza. «La notizia ci ha raggiunto mentre ero a Ramallah, a colloquio con Mustafa Barghouti leader di al mubadera», racconta a Liberazione, poche ore dopo il rientro da un giro che lo ha visto tra Gerusalemme, Betlemme, Tel Aviv, Hebron, «dove ho visto l’apartheid da vicino».

«Dopo l’inizio degli attacchi ho visto sparare dai check point di Ramallah ai ragazzi palestinesi che protestavano e lanciavano pietre». Dopo aver preso parte al culto di fine d’anno nella Chiesa luterana di Betlemme e alla messa di Natale nella Basilica della Natività, il segretario Prc ha incontrato i rappresentanti dei cinque partiti della sinistra palestinese, impegnati nella costruzione di un raggruppamento; ha avuto un colloquio con il presidente dell’Anp Abu Mazen; una serie di incontri bilaterali con i vertici dell’Unione democratica palestinese (Fida), col segretario del partito del popolo, Bassam Saleh e, appunto, con Barghouti. Alla Knesset, il parlamento israeliano, ha parlato con il segretario del partito comunista, poi, una volta a Tel Aviv,con Ran Cohen, del Meretz, unico nella commissione difesa e affari esteri, a votare contro il proseguimento dell’offensiva.

«Ho visto che il processo di pace è bloccato - racconta - Israele costruisce, nei fatti, l’apartheid in cui i palestinesi, senza diritti, sono soggetti a varie forme di arbitrio». Quella che riporta in Italia, dopo un fitto programma fatto anche di contatti con la società civile e visite al Museo della Shoa e alla moschea di Gerusalemme, è l’immmagine di due realtà segregate: «Ci sono i muri, non “il muro”, a fare da cintura per i bantustan palestinesi e gli insediamenti dei coloni, connessi tra loro da strade separate che, a volte, viaggiano parallele, solo che quella per gli israeliani è un’autostrada, l’altra è disseminata di check-point. Quella di “due popoli due stati” non è l’ipotesi di Tel Aviv». E, in questo contesto, l’offensiva su Gaza è «un massacro - dice Ferrero - con centinaia di vittime perpetrato da uno stato occupante. I razzi di Hamas sono solo un pretesto. Le reali motivazioni sono dettate dalla campagna elettorale in corso in Israele e, posto che ci fosse, dalla volontà di rendere impossibile che la nuova amministrazione Usa possa chiedere semplicemente il rispetto dei patti».

Infatti, l’Anp ha abbandonato il tavolo, al disastro umanitario si aggiunge la destabilizzazione dell’area, «il rafforzamento dei due fronti integralisti, quello arabo e quello israeliano». Ecco perché, per Ferrero, la moblitazione è urgente e l’equidistanza non regge: «La guerra rafforza Hamas e chi sostiene il conflitto di civiltà. Come nella guerra del Golfo. E’ la riapertura del fronte che pensavamo chiuso con la sconfitta di Bush».

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