martedì 22 giugno 2010

Intervista a Citto Maselli

Alla sinistra serve un’idea e ai giovani serve la sinistra
Nella foto "Citto" Maselli a Cuneo in occasione della presentazione del film "Le Ombre Rosse" tra l'Assessore alla Cultura del Comune di Cuneo Alessandro Spedale e il Presidente della Commissione Cultura 
Fabio Panero.



Intervista a Citto Maselli
(da L'Unità del 1 luglio)

A quel lago di simboli che si è divertito a collezionare nel suo film più recente, «Le ombre rosse», Citto Maselli - uno dei grandi padri del nostro cinema - ha incollato un finale didascalico. Due ragazze (e un ragazzo), un fabbricato alla periferia delle periferie, un metro a nastro in mano, prendono misure, larghezza, lunghezza. Cercano un posto, un luogo, una situazione da nutrire con i corpi e con i pensieri, con azioni solidali. Ma lontano, via dalla pazza folla, dove l’urbanesimo, anima della nostra civiltà, degrada e sfuma il rigore della sua ottica concentrazionaria. Il film chiude, mentre si prende atto della fine di un’era, di una esperienza collettiva eccitante - il decollo e il tramonto di un centro sociale - con i segni dell’allestimento di un Natale che verrà. Sono giovani e sono soprattutto donne, non si sa cosa sappiano fare di «socialmente rilevante», non si conoscono le loro abilità misurate sui bisogni del mercato, ma si sa che scommettono sulla vita a dispetto della loro invisibilità. Così l’allegoria frana sul reale: è esattamente ciò che sta accadendo a milioni di ragazzi, soprattutto in Italia.

Dicono che un ragazzo su tre non troverà lavoro, nessun lavoro in questo paese. Almeno finché le condizioni non cambieranno. Uno su tre fa paura perché muta il dna sociale che abbiamo fin qui conosciuto. Da decenni, da «Gli sbandati» e non solo, hai sempre dedicato uno sguardo d’affetto ai giovani. Un cineasta è anche un po’ uno stregone...
Quel finale di film dice anche altro: per esempio che la politica, quel che resta della politica in anni recenti non ha saputo dare non dico modelli ma strumenti, «utensili» adatti a costruire una vita in cui i ruoli individuali e collettivi non siano imposti dal mercato, dal consumo. C’è una fondamentale differenza tra essere schiacciati dai grandi meccanismi di una durissima ristrutturazione «capitalistica » in una crisi psicologica ed esistenziale senza uscita e affrontarla, invece, con consapevolezza, collettivamente, con azioni che puntellano una nuova forte soggettività politica. In altre parole: la sinistra non ha saputo fornire ai giovani motivi sufficienti per lottare, resistere, inventare strade nuove. Benché Rifondazione Comunista, il partito cui appartengo, si muova con le forze di cui dispone, proprio in questa direzione. E questa insufficienza, se permetti, non racconta di una banale crisi della sinistra, ma di una sua crisi profonda, terribile.

Lo si capisce scorrendo la drammaturgia del tuo film. La sinistra tutta ne esce a pezzi, nessuno si salva: i partiti, gli intellettuali, figure ingrigite da una mediocrità senza respiro, interne a un gioco da cui sono state adottate con l’ambizione e il miraggio della «modernità». E si salvano solo i ragazzi del centro sociale....
Condivido un recentissimo richiamo di Alfredo Reichlin: alla sinistra serve un’idea. È un po’ un’astrazione, nelle corde di Reichlin, ma mi pare che anche solo porsi di fronte a questo bisogno, affermare che esiste e che corrisponde al vuoto di oggi, significa assumersi una responsabilità all’altezza della storia che stiamo vivendo.

Forse, però, sostenere che ci serve un’idea non è una tenera ammissione di impotenza? E questa ammissione non ha qualcosa in comune con il febbrile riposizionamento del “territorio” in testa alla top ten delle questioni di cui deve farsi oggi carico la sinistra? Cosa ci è successo?
So che Togliatti decise già nel 1941 di organizzare il Partito Comunista scartando il metodo della cooptazione diretta in base alla affidabilità burocratica dei comunisti come imponeva lo schema della Terza Internazionale. Impartì direttive affinché la selezione fosse affidata a dei dati «storici», e cioè alla generosità e alla efficacia della lotta messa in pratica nelle fabbriche, sempre e comunque nei territori. Poi, vorrei ricordare qual è il valore insostituibile del marxismo: l’idea di una società
conflittuata come garanzia di democrazia e di crescita. Marxismo non come modello, quindi, ma metodo, tra l’altro inevitabile in una relazione di potere vissuta con consapevolezza. Dov’è finita questa cultura?

Verrebbe da chiederlo a chi si è assunto la responsabilità di far naufragare i due governi di centrosinistra.Non saranno stati i migliori governi del mondo ma alla luce di quel che ha messo in campo l’era berlusconiana non si può negare che testimoniavano un’altra cultura e proponevano un’altra Italia...
Ma se non àncori il fare quotidiano, anche quello politico, ad una visione complessiva che entra in conflitto con l’esistente, devi attendere che tramonti una esperienza di governo e che salga al potere un oligarca amorale come Berlusconi per comprendere che era meglio proseguire sulla vecchia strada. E comunque se la cultura che animava quei governi è la stessa che da anni muove le opposizioni di sinistra, mi pare che non siamo di fronte alla chiave, oppure come dice Reichlin all’«idea» che può aprire nuove porte, nuove vie d’uscita. Anche per quel trenta per cento di ragazzi italiani condannati a vivere senza lavoro.

Alla sinistra per non perdersi sarebbe forse bastato riuscire a mettere in campo la legge sul conflitto di interessi; non era nemmeno indispensabile farla passare, visto che i numeri pare non ci fossero; ma doveva «morire» su quella iniziativa di pura giustizia molto annunciata...
Sì, e quei giovani che ora sono nel tritacarne avrebbero in tasca almeno il valore morale di un impegno storico di democrazia, di una coerenza limpida; ma sui principi, appunto, non si dovrebbe transigere. E ora la sinistra avrebbe cose da dire nei territori e saprebbe, certamente meglio di ora, cosa vuol dire lottare per un ideale che vale tutte le tue energie, e conoscerebbe il valore della lotta, dello stare in piedi, di una prospettiva di società alternativa.

Invece, dici con«Le ombre rosse», i ragazzi se la devono inventare da sé la nuova casa...
Una casa, un partito, un progetto nato dai bisogni delle loro condizioni materiali. L’estromissione pressocché totale dal mondo del lavoro allora produrrà nuova consapevolezza e nuova cultura. Quando, provati e demoralizzati, spulceranno la storia, troveranno forza in quel che hanno prodotto il Movimento dei lavoratori e il Partito Comunista italiano, perché qualcuno a sinistra se ne vergogna ma è storia bellissima e forte, soprattutto in Italia, in quella vicenda che gli ortodossi francesi del Pcf chiamarono «déviation italienne».

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