giovedì 29 novembre 2007

UN COMMENTO ALLA "CAPORETTO DELLA SINISTRA" SUL WELFARE

Aspettando la Befana
(da "Il Manifesto" del 28 novembre)
Loris Campetti

Eravamo stati ottimisti al manifesto, denunciando la perdita di ogni connotato di sinistra da parte del nascente Partito democratico che si colloca, come recita il suo programma, in una posizione equidistante tra capitale e lavoro. Dovevamo capirlo proprio leggendo il programma del Pd, in cui i lavoratori vengono sostituiti dai consumatori: l'azionista di riferimento del nuovo che avanza è l'impresa, il capitale. Così si spiega la irricevibile conclusione del tormentone welfare, dettata direttamente dalla Confindustria. Prendiamocela pure con Dini e il suo manipolo di senatori che per il governo a centralità Pd contano più dei 150 parlamentari della sinistra, ma chi muove i fili che animano il rospo, se non Luca Cordero di Montezemolo?
Il faticoso lavoro della commissione lavoro della Camera per costruire mediazioni difficili tra spinte divergenti, è stato rottamato dall'ala che comanda nel governo. Per salvare, o per dannare se stesso? Il testo su cui Prodi impone la fiducia è praticamente lo stesso sottoposto al voto dei lavoratori, quello sottoscritto dalle parti sociali ma contestato da settori della Cgil, dalla Fiom, dai sindacati di base e bocciato nelle più importanti fabbriche italiane.
Le forze a sinistra del Pd si erano impegnate a svolgere un confronto serrato in parlamento, avevano strappato qualche miglioramento al testo per i lavoratori «usurati», aumentandone la platea, e per i giovani precarizzati, ponendo un tetto alla possibilità infinita di rinnovo dei contratti a termine. Tutto spazzato via. Anche le richieste e le residue speranze delle centinaia di migliaia di persone che il 20 ottobre avevano manifestato a Roma per chiedere un'inversione di tendenza sulla precarietà sono state spazzate via. Uomini e donne che offrivano allo zoppicante Prodi una sponda, una via d'uscita, hanno perso su tutti i fronti. E con loro, però, hanno perso le forze politiche che alla riuscita della manifestazione contro la precarietà avevano contribuito. Rifondazione innanzitutto, e il Pdci, ma anche Sd e Verdi rischiano di perdere, insieme alla battaglia contro la precarietà, la loro base sociale. Ma il governo è un mezzo, o un fine? Il Prc rinvia la verifica a gennaio: ma le cose per la sinistra andranno meglio, dopo la Befana? E ancora: è peggio restare senza ministro, viceministra e sottosegretari, o senza base sociale?
Tutti, in Italia, denunciano il livello miserabile dei salari dei lavoratori dipendenti, dagli economisti liberisti a Padoa Schioppa. Lo denuncia anche l'Ue: nel Belpaese si lavora di più e si guadagna di meno che nel resto d'Europa. Però, milioni di lavoratori restano senza soldi e senza contratti, mentre infuria l'offensiva padronale per cancellare quelli nazionali e legare gli aumenti agli utili aziendali. Tutti in Italia denunciano gli effetti devastanti della precarietà, ma quando si tratta di votare, la maggioranza eletta per porvi un argine si fa incantare dalle sirene confindustriali e dai ruggiti dei rospi, fino a confondersi con il suo teorico antagonista, il governo Berlusconi.
Un altro regalo alla odiata antipolitica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ormai nel Palazzo è una tesi che fa scuola, un da to scontato che condizio na le mosse dei protagonisti: Rifondazione non fa più paura. Tutti sono convinti - più a ragione che a torto - che Fausto Bertinotti e i suoi non faranno cadere il governo Prodi ne sul welfare, ne sul l'Afghanistan, ne su altro. “I neo-co munisti sono dei poveri cristi - spiegava ieri nel Transatlantico di Monteci Treu, esponente del Pd che sulle politiche sociali è agli antipodi dei neo-comunisti - sono sderenati. Il governo ha più paura di Dini. Loro si attardano sulle battaglie di princi pio, ma non vanno da nessuna par te...”. La pensa allo stesso modo anche Angelo Bonelli, presidente dei deputati verdi, che è anche un amico dei rifondaroli. «Sono all'angolo - osserva -. Intanto perchè sono a corto di consensi. Pagnoncelli li da al 4,6%. Poi sono bloccati dalla sindrome del `98. Bertinotti non farà mai cadere Prodi, mentre Giordano è in difficolta dentro il partito. In più alzano sempre il tiro ma alla fine non incassano nulla. E questo è un boomerang per loro. Stanno dimostrando che il domino della situazione è Dini». Un ragionamento che condivide anche la stampa comunista, quella più vicina a Berti notti e compagni. La settimana scor sa c'e chi ha potuto ascoltare in bassa frequenza, in una pausa della trasmis sione Omnibus, il direttore del Mani festo, Gabriele Polo, dire più o meno le stesse cose: “Il loro elettorato li lincerebbe ma quelli di Rifondazione non mollano il governo. Quando mai Bertinotti potrebbe tornare a fare il Presidente della Camera?”.

Appunto, c'e il rischio che i “neo comunisti” diventino i nuovi “signor si”. Eppure malgrado questa legge non scritta che sembra regolare la XV legislatura, ogni volta si assiste alla stessa liturgia: Rifondazione po ne questioni, alza barricate, organiz za manifestazioni come quella del 20 ottobre, lancia avvertimenti che poi si risolvono nel nulla. E qualche volta tanta impotenza da vita a dei paradossi. Come sul welfare: il Con siglio dei ministri licenzia una legge che ricalca il protocollo firmato da Confindustria e sindacati; alla Ca mera i neo-comunisti riescono ad in trodurre delle modifiche in commis sione; ma alla fine, a quanto pare, il governo potrebbe porre la fiducia su un testo che ricalca il testo origi nale. “Se Rifondazione rompe - è il commento laconico del sottosegretario alla presidenza, Enrico Letta – pazienza”. Il tutto sotto il controllo del nuovo giudice inappellabile di questa maggioranza, Lamberto Dini.

Un epilogo che se si avverasse, co m'è probabile, lo stato maggiore di Ri fondazione difficilmente potrà contrabbandare come un successo con la sua base elettorale di riferimento. Né la sceneggiata di queste ore potrà cam biare il sapore di questo nuovo boccone amaro che i neo-comunisti si apprestano ad ingoiare. A conti fatti, se la partita si chiuderà in questo modo, Dini farà la parte dell'asso pigliatutto, qualcosa otterranno anche i socialisti di Gavino Angius, magari un'indennita di disoc cupazione per i co.co.pro (contratti a progetto), mentre Rifondazione niente o quasi. Al massimo Bertinotti e i suoi continueranno a gridare alla luna. Il presidente della Camera ironizzerà sui “brodini” per il governo. Il segretario Franco Giordano se la prenderà contro “l'ipoteca della Confindustria sul govern”. II leader dei “no-global” Francesco Caruso chiederà ancora di vota re contro la fiducia a Prodi. Alberto Burgio parlera di «forzatura inaccetta bile”. E, magari, Valentino Parlato sulle colonne del Manifesto tornerà a sperare nel ritorno del Cavaliere.

Già, siamo arrivati a questo punto. “La verita - ammette il capogruppo dei senatori, Russo Spena - è che non fac ciamo paura perchè siamo troppo buoni. Gli altri lanciano ultimatum, fanno ricatti, mentre noi siamo legati ad una linea strategica che vuole evitare la ca volta che Prodi pone la fiducia il nostro gioco diventa stretto. Solo che i nostri alleati debbono sapere, come diceva Totò, che "ogni limite ha una pazienza". Che Dini non può valere più di 150 parlamentari. Per cui se ci imporranno una soluzione che non condividiamo sul welfare, noi sui provvedimenti su cui non c'e la fidu cia ci muoveremo con le mani libere. Ad esempio il decreto sull'espulsione dei romeni a me non piace proprio e nell'attuale versione non lo voterò. Ep poi non si aspettassero sconti sulla Leg ge elettorale. Veltroni il suo "veltronellum" se lo può scordare. Dalle nostre simulazioni colpirebbe pro prio i partiti che sono tra il 6 e l’11%. O il tedesco, o niente”.

Torniamo, quindi, alle minacce, agli avvertimenti, alle insofferenze che spesso si traducono in niente. Eppure intorno a Rifondazione tutto si muove. L'ultimo sondaggio (il primo dall'entra ta in scena del partito della liberta) of fre un quadro in pieno movimento: Forza Italia più Pdl si attesta intorno al 34%; An e Udc vanno giù (rispettiva mente 9% e 4,3%); il Pd non si scolla dal 26%; mentre Prodi risale (dal 22,5 al 23,8%) come pure il governo (dal 22 al 24,1%). Tutto si muove, meno Rifondazione: paralizzata dalla “sindrome del `98” sembra avviata verso un inarresta la “cosa rossa”, cioè l'alleanza tra tutti i soggetti della sinistra antagonista, non ne nasconda in futuro la crisi. Insomma, Bertinotti e i suoi non hanno una bella prospettiva. Inoltre c'e sempre il rischio che dall'in sofferenza dei movimenti e della base elettorale di riferimento nasca qualco sa a sinistra dei rifondaroli. Sull'altro versante la “destra” di Francesco Storace in due mesi di vita è arrivata al 2%. Marco Rizzo, esponente del Pdci che ha dato da poco alle stampe un libro che già nel titolo (“Perche ancora co munisti”) descrive in questo modo “l’ insofferenza” verso questa fase politi politico che ha paura, che per stare al governo potrebbe an che appoggiare la guerra a Cuba»

La Stampa – pagine nazionali – 27 novembre 2007

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