venerdì 30 novembre 2007

In Rifondazione adesso la discussione è aperta

In Rifondazione adesso la discussione è aperta

di Anubi D’Avossa Lussurgiu


«Basta»: è la parola chiave per capire cosa accade nella maggiore forza di sinistra della coalizione sulla quale sinora, sino al voto di ieri sera compreso, si è sorretto il governo Prodi. In Rifondazione comunista, pur con conclusioni e ragionamenti diversi fra il gruppo dirigente del partito come fra i più che nel gruppo della Camera hanno scelto il sì alla fiducia e dall’altra parte quanti hanno proposto il voto contrario, quel concetto, «basta», è trasversale.
Lo esprime lo stesso segretario nazionale Franco Giordano nella dichiarazione di voto, con le parole «una fase si è definitivamente chiusa» riferite al senso della «verifica» richiesta per gennaio e dalla quale «dipenderà la nostra collocazione politica». Che dunque non è più scontata, intendendo la collocazione nel governo: può rideterminarsi, diversamente. E infatti il «basta» echeggia anche, stavolta nel senso della constatazione oggettiva, in altre parole di Giordano, quelle che riguardano il giudizio sulla subalternità a Confindustria esibita dal governo: «Non siete liberi: quando la politica non è libera, è una politica morta».


E’ il riflesso, d’altronde, della discussione nel gruppo dirigente, che proprio Giordano definisce «vera». Serrata, insomma. Come d’obbligo nella situazione attuale. La cui asprezza è stata registrata, soggettivamente, proprio dal confronto apertosi l’altro ieri nel gruppo del Prc a Montecitorio. Un’asprezza che, votata la fiducia da tutti “per disciplina collettiva”, con l’eccezione di Salvatore Cannavò che per Sinistra critica ha annunciato anche il no di Franco Turigliatto al Senato, resta adesso tutta da affrontare nelle prossime scelte. A partire, con un gioco di parole, dalla verifica della “verifica”.
Sulla richiesta della verifica «politico-programmatica» per gennaio, è chiaro che chi ritiene fosse già matura e motivabile una rottura non condivide la dilazione temporale, sia pure aperta anche alla possibilità d’una crisi. E come tutti i media ieri riportavano questo riguarda, conti della votazione nel gruppo martedì alla mano, almeno dieci degli eletti del Prc a Montecitorio. Detto ciò, l’impegno rappresentato dal carattere ultimativo delle parole del segretario del partito ieri in Aula è stato registrato: e con molta condivisione, anche emotiva e anche fra quanti nel gruppo avevano sostenuto la possibilità di votare “no” alla fiducia. Dunque l’atmosfera è quella, come si può capire piuttosto intensa, d’una attesa attenta ed attiva da parte di tutti: perché riguarda il destino stesso del Prc, maggiore forza di quella sinistra che discute di unità ma che al contempo deve rispondere al problema, ormai in primo piano, del bilancio dell’esperienza governativa.


Distintamente, Cannavò ha messo agli atti con la sua dichiarazione di voto di valutare la fiducia di ieri come l’«esito fallimentare di una strategia sbagliata che si illudeva che non Prodi “il Paese sarebbe cambiato davvero”», ne trae il giudizio che «per la Sinistra è una Caporetto» e «per Rifondazione si chiude il senso stesso della propria esistenza» e coerentemente definisce il proprio “no” una «frattura con l’appartenenza al mio gruppo». Ma sia quanti avevano nella riunione dell’altro ieri sostenuto il “no” per conformarsi poi alla scelta della maggioranza sia quanti l’avevano appunto ratificata votando per la proposta di “sì” per «vincolo sociale» avanzata dalla segreteria, ieri si interrogavano sullo stesso problema. E cioè: come si fa, ora, a realizzare la verifica promessa?
Tra i primi con il dubbio, quando non una certezza manifestata polemicamente, che si tratti di uno strumento spuntato. In Aula prende la parola a sua volta un esponente della minoranza de “l’Ernesto” come Gian Luigi Pegolo, a dire che già l’imposizione della fiducia «vuol dire che sono venute meno le condizioni minime che giustificavano la presenza del mio partito e delle altre forze di sinistra nel governo». Ma anche oltre i confini delle minoranza c’è chi chiede la messa all’ordine del giorno d’un bilancio politico netto. E l’indipendente Francesco Caruso, personalmente, la mette così, con un po’ di colore: «Per quel che mi riguarda il governo Prodi d’ora in poi si può considerare a pieno titolo un precario con il contratto a termine scaduto».
Poi, fra quanti alla verifica danno credito, ci sono le domande aperte sui mezzi per imporla ed ottenerla «vera». E’ d’altra parte quanto viene dibattuto nel confronto in corso nel gruppo dirigente del partito. Che dalla segreteria vedrà la composizione di un “dispositivo” da porre alla discussione della direzione nazionale, convocata per lunedì prossimo. Mentre ci sono organismi territoriali che cominciano a prendere la parola: come la segreteria regionale del Prc lombardo, che sulla «verifica» afferma che «non può attendere gennaio ma deve svilupparsi immediatamente». Ora o a gennaio, una esponente della maggioranza di partito come Elettra Deiana, convinta della decisione formale, chiosa a sua volta: «Per me si potrebbe e si dovrebbe, per imporre la verifica, anche sospendere l’intera delegazione del Prc nel governo». E Peppe De Cristofaro torna al senso di quel «basta» diversamente condiviso: «Oltre il programma, a non esistere più è l’Unione. E l’effetto destabilizzante della nascita del Pd non è un rischio, c’è già».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Rifondazione Comunista non ha da rifondare nulla. Il suo declino e la lenta morte sono testimoniate dal modo in cui una parte dei suoi dirigenti, e della corte di intellettuali che li segue, parlano a quella che dovrebbe essere la sua base di riferimento. Un linguaggio incomprensibile e che può andare bene in qualche salotto o tra poche e selezionate elite.

Cosa volete che capisca uno quando sente Giordano dire "A Gennaio ci vuole una nuova fase politica. Chiediamo una verifica" o Bertinotti affermare "Riproposta una evidente difficoltà tra esecutivo e parlamento".
La sindrome del cashmere attanaglia quell'accozzaglia di geni della politica che, purtroppo, ho votato. Gente che si avviluppa nella forma perchè manca di sostanza, di una strategia seria ed alternativa a tutto quanto ci circonda.
Cosa vorrei da costoro? In primo luogo che fossero messi nella condizione di godere in pace la loro pensione da notabili della politica.
Azzerare quella pletora di finti comunisti, alla ricerca del verbo che fu, sarebbe già un bell'inizio per ritrovare l'entusiasmo e ricominciare di nuovo.
Parole, chiacchiere, analisi di difficile interpretazione in sostanza il vuoto assoluto.

Il paradosso di una strategia alternativa è fare in modo che i processi in atto maturino fino in fondo. Lavorare in modo pesante su quelli. Senza guardare in faccia a nessuno. Assumersi il compito e la responsabilità di passare il proprio tempo in galera, se necessario. Riempire le strade ed i quartieri con la resistenza e la rabbia che c'è. Plasmarla e farla esplodere. Tenere conto delle situazioni concrete del suo popolo o di quello che aspira a rappresentare. Quello che leggiamo è politichese, analisi tutte interne al sistema di valori e di compatibilità in essere. Nulla che vada al di là del proporre una logica del tipo "non esagerate troppo".

Mendicare pezzi di welfare, sapendo che il risultato è a somma zero, è una chiara indicazione di connivenza con il sistema in essere. La questione, compagni, non sono le briciole. Quelle i borghesi "illuminati" ed i partiti "popolari" sanno bene quando e come distribuirle. Non c'è bisogno di rifondare nulla per quello. Basta quello che c'è. Cosa volete che cambi nella vita di una pensionata (esempio mia suocera) che ha 470€ al mese di pensione, che riesce a vivere in affitto solo perchè lo paga sua figlio (550€ al mese) e che divide il suo latte serale con la gatta?
Due giorni fa la parrocchia le ha fornito un pò del minimo per andare avanti e tra un pò avrà quella briciola che per questo anno, e fino a che ci saranno fondi, il governo di monsignore Prodi le darà.

Quello che vogliamo è un movimento che abbia come riferimento il pane nella sua totalità, ed il forno che lo cuoce con la materia prima che serve per alimentarlo e produrlo. Il resto sono chiacchiere inutili.

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